C’è una parola che attraversa silenziosamente le economie occidentali, come una crepa che si allarga sotto i piedi: debito. Non è più solo una questione di bilanci pubblici, di spread o di agenzie di rating. È diventato il sintomo di un sistema che consuma più di quanto produce, che promette più di quanto mantiene, che vive in un eterno presente finanziato da un futuro ipotecato.
Nel 2025, Francia, Italia e Stati Uniti si trovano accomunati da un dato inquietante: il debito pubblico ha raggiunto livelli storici, e le ripercussioni non sono più solo teoriche. In Francia, il debito ha superato il 110% del PIL, con un deficit che sfiora il 5,4%. La recente caduta del governo Sébastien Lecornu, durato appena 12 ore, ha reso evidente quanto il debito non sia solo una questione tecnica, ma un detonatore politico. In Italia siamo al 137%, mentre negli Stati Uniti il debito federale ha superato i 35 bilioni di dollari (pari a circa 125% del PIL), con interessi che minacciano di assorbire un terzo delle entrate pubbliche entro il 2035. Numeri che non raccontano solo l’economia, ma la politica, la società, la fragilità di un modello.
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A differenza di molte economie occidentali, la Svizzera mantiene una gestione del debito pubblico considerata tra le più virtuose al mondo. Con un rapporto debito/PIL stabilmente sotto il 40% (per il 2025 è previsto al 37,2%), il Paese beneficia di una forte disciplina fiscale, di una crescita moderata ma costante e di una struttura istituzionale che limita la spesa improduttiva. Tuttavia iniziano a emergere tensioni: l’aumento dei costi sanitari, l’invecchiamento della popolazione e le pressioni per investimenti ambientali e digitali stanno mettendo alla prova il tradizionale equilibrio di bilancio. Alcuni economisti avvertono che il rigore non può diventare immobilismo, e che il surplus fiscale non deve tradursi in rinuncia strategica. In un contesto globale di indebitamento crescente, la Svizzera rischia di trovarsi isolata non solo per virtù, ma anche per cautela eccessiva.

Dollaro a rischio: tra economia fragile, dazi e geopolitica
Alphaville 20.06.2025, 12:35
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Tornando al debito intestino delle economie occidentali, il paradosso è evidente: più cresce il debito, più si riduce la capacità di agire. I governi si ritrovano prigionieri delle proprie promesse, costretti a tagliare investimenti, rinviare riforme, aumentare la pressione fiscale. E intanto, il costo del denaro sale, le banche centrali stringono i rubinetti, e il rischio di una stagnazione prolungata si fa concreto. Il debito non è più lo strumento per finanziare il progresso, ma il freno che lo rallenta.
In Francia, il dibattito è acceso: il governo cerca di rassicurare, ma le agenzie di rating minacciano il declassamento. In Italia, la retorica del “ce lo chiede l’Europa” si scontra con una realtà fatta di crescita anemica e riforme incompiute. Negli Stati Uniti, il Congresso si divide su ogni manovra, mentre il debito diventa una bomba a orologeria che nessuno vuole disinnescare. Eppure, la questione è urgente: perché il debito non è solo un problema contabile, è una questione di fiducia. Fiducia nei mercati, nelle istituzioni, nel futuro.
Caro debito pubblico
RSI Plusvalore 23.09.2021, 12:20
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Le conseguenze sociali del debito pubblico crescente sono profonde e spesso sottovalutate. Quando una nazione è costretta a destinare una quota sempre maggiore delle proprie risorse al pagamento degli interessi, le politiche sociali diventano le prime vittime. Sanità, istruzione, welfare, trasporti: settori vitali per la coesione e la qualità della vita vengono compressi, rinviati, smantellati. Il risultato è un aumento delle disuguaglianze, una precarizzazione diffusa e una crescente sfiducia nelle istituzioni. I giovani vedono ridursi le opportunità, gli anziani affrontano tagli ai servizi, le famiglie si trovano più sole di fronte alle fragilità. Il debito, da strumento di investimento, si trasforma in meccanismo di esclusione. E quando la spesa pubblica non riesce più a garantire equità, il tessuto sociale si sfilaccia, lasciando spazio a tensioni, populismi e instabilità. In questo senso, il debito non è solo una questione economica: è una questione di giustizia.
Serve un cambio di paradigma. Non basta invocare la crescita, se non si affrontano le cause strutturali dell’indebitamento: disuguaglianze, inefficienze, sprechi, mancanza di visione. Occorre ripensare il rapporto tra Stato e mercato, tra spesa e investimento, tra presente e futuro. Perché il debito non è solo una cifra: è una scelta. E oggi, più che mai, è una scelta politica.
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Se non si interviene, il rischio non è solo economico: è democratico. Perché un Paese indebitato è un Paese meno libero. E una democrazia che non può decidere, è una democrazia che si spegne. Il debito ci riguarda tutti. E ignorarlo non lo farà sparire. Al contrario: lo renderà più forte, più invasivo, più pericoloso.
Il tempo delle illusioni è finito. È ora di guardare il debito negli occhi. E di decidere se vogliamo continuare a pagare il futuro a rate. O se vogliamo, finalmente, iniziare a costruirlo. Perché le nuove generazioni erediteranno non solo il debito, ma anche la paralisi che ne deriva.

Nuova crisi di governo in Francia
Telegiornale 06.10.2025, 20:00