Società

Il cancro: un fenomeno evoluzionistico

Intervista a Telmo Pievani: da flagello da sconfiggere a normale rischio biologico

  • 11 gennaio, 08:24
  • 13 febbraio, 09:58
cancro
Di: Clara Caverzasio
L’evoluzione e il cancro sono strettamente legati, perché i processi storici che hanno creato la vita hanno creato anche il cancro.

Così Athena Aktipis, psicologa dell’Università dell’Arizona esperta di cooperazione in diversi ambiti biologici, nel suo recente The Cheating Cell: How Evolution Helps Us Understand and Treat Cancer, ovvero La cellula imbrogliona. Come l’evoluzione ci aiuta a capire e trattare il cancro (Princeton University Press, 2023). Un libro sorprendente che approfondisce la relazione tra evoluzione e cancro.

Nuova scoperta per la cura del cancro

Il Quotidiano 05.03.2023, 19:00

Per comprenderla occorre tornare indietro di milioni di anni, quando le forme unicellulari sono diventate organismi multicellulari grazie alla cooperazione, che è uno dei motori fondamentali dell’evoluzione e fra quei corpi di cellule cooperanti ne emersero alcune che utilizzavano troppe risorse e si replicavano senza controllo.

Un campo di ricerca innovativo, in cui non c’è ancora molta letteratura, ma che è in rapido sviluppo. Sembra tra l’altro che il prossimo libro del celebre saggista e divulgatore scientifico statunitense David Quammen sarà proprio su questo argomento. E anche in Italia c’è già chi sta lavorando alla comprensione del cancro come fenomeno evoluzionistico, come il filosofo della scienza ed evoluzionista Telmo Pievani, a cui ci siamo rivolti per capire meglio in che modo l’evoluzione ci aiuta a capire il cancro.

Di fatto è un interrogativo che implica due domande diverse ma che di recente si stanno incrociando. La prima: capire scientificamente perché e in che modo i tumori si comportano come sistema evolutivo. Perché ormai lo sappiamo, ci sono tantissime caratteristiche che ne fanno un sistema darwiniano: le mutazioni genetiche, per esempio, quindi la grande instabilità genetica delle cellule che accumulano tante mutazioni, che in alcuni casi riescono a sfuggire al sistema immunitario. Nei tumori più aggressivi poi, le popolazioni di cellule addirittura si diversificano come una sorta di albero evolutivo, e questo è un grosso problema perché una chemioterapia che vale per una certa popolazione cellulare può non valere per un’altra. Gli stessi trattamenti terapeutici sono pressioni selettive che possono far sì che una mutazione che porta alla resistenza abbia grande successo, quindi è una perfetta dinamica ‘mutazione-selezione’. E poi ne stiamo scoprendo anche di nuove: per esempio i tumori hanno anche la capacità di modificare i tessuti attorno a sé per favorire la propria proliferazione, un meccanismo evolutivo che definiamo ‘costruzione di nicchia’. Quindi le cellule tumorali non si limitano ad adattarsi all’ambiente, ma lo modificano attivamente.


Perché è importante interrogarsi sugli aspetti evolutivi del cancro?

«A tutt’oggi l’approccio terapeutico si basa ancora sostanzialmente sul quadro molecolare del tumore allo stato attuale, per cercare di bloccarlo, di prevenire che esso sfugga al sistema immunitario o per usare il sistema immunitario per sconfiggerlo. Però non si tiene forse abbastanza in considerazione la storia remota che un sistema di questo tipo potrebbe avere. Per esempio, sappiamo che se si tratta di un sistema ‘mutazione-selezione’, diversificare la terapia, e magari non usare sempre la chemioterapia, come adesso si fa in alcuni cancri del colon, -un tempo un’eresia-, può essere una seria opzione terapeutica. Si è infatti scoperto che a volte cercare di distruggere un cancro è peggio che tenerlo sotto controllo con terapie adattive, e che possiamo usare indici ecologico-evolutivi per monitorarlo e trattarlo in modo più mirato.
La seconda domanda è legata alla prima ma è ancora più misteriosa: come diavolo si è evoluto il tumore? In fondo è un’entità che non ha senso dal punto di vista evolutivo, perché non è un patogeno che ti fa ammalare usando il nostro corpo come veicolo di diffusione, e dal punto di vista evolutivo è chiaramente un parassita. Nel caso del tumore no, perché non è contagioso, quindi che senso ha che si inneschi un meccanismo di “egoismo cellulare” che alla fine porta alla malattia dell’intero organismo di cui anche quelle cellule fanno parte? È questo l’enigma che si cerca di sciogliere, attraverso alcune ipotesi principali.»


Prima di vedere insieme queste ipotesi, è interessante notare che i tumori hanno cominciato ad esistere con la nascita degli organismi pluricellulari, cioè nel momento in cui il motore nella cooperazione ha cominciato a dare alla vita la possibilità di svilupparsi, spalancando le porte allo sviluppo di una forma di vita pluricellulare così grande e complessa come l’essere umano, composta da un’enorme società di cloni cellulari che lavorano per un fine comune. Come scrive anche la Atkins più grande è la società cellulare, più grande sarà l’obbiettivo dei potenziali approfittatori, delle cellule che traggono vantaggio dal tradimento. Quindi si è creata fin da subito questa dinamica tra la cooperazione, che comunque è vincente, e l’egoismo cellulare che caratterizza il tumore, dando avvio a un conflitto.  Ma è un conflitto in qualche modo necessario all’evoluzione?

In realtà nell’evoluzione nulla è necessario, però questa evidenza già ci fa capire che le due ipotesi che sono sempre state adottate in passato per capire il cancro evidentemente non sono sufficienti. La prima è che i tumori derivano dal fatto che con il procedere dell’età la selezione naturale sorveglia sempre meno le mutazioni genetiche, e quindi le lascia accumulare più frequentemente, facendo aumentare il rischio che si sviluppino dei tumori. E questo è vero perché, se si guardano le statistiche, l’aumento di tumori previsto nei prossimi vent’anni è dovuto per oltre l’80% all’aumento dell’aspettativa di vita. Però ciò non è sufficiente, perché sono in aumento anche i tumori infantili. L’altra ipotesi associa lo sviluppo dei tumori alle cause ambientali: esistono i tumori perché abbiamo modificato l’ambiente in cui viviamo in modo talmente rapido che il nostro organismo non riesce più ad adattarsi. Ma né l’una né l’altra, e nemmeno tutte due insieme, riescono a spiegare la dinamica in sé. Allora probabilmente esisterà una logica più profonda, secondo cui i tumori sono insiti nella pluricellularità e quindi sono una sorta di ritorno delle cellule al loro stadio egoistico originario. È come se comportandosi da cellule neoplastiche, tornassero a quello che le cellule sono state per otto decimi della storia del mondo: cellule egoistiche. Infatti la pluricellularità nasce 600 milioni di anni fa, tutto ciò che c’è stato prima era unicellulare. Quindi è un ritorno alla logica egoistica unicellulare. Che è oggi così potente, profonda ed elusiva proprio perché ha avuto tre miliardi di anni per sperimentare soluzioni per sfuggire agli attacchi del mondo unicellulare.

Quindi finché esisterà una vita pluricellulare, esisterà il cancro: un grande cambiamento di prospettiva, che non significa che dobbiamo rinunciare a curarlo, visto che gli approcci evolutivi sembrano offrire nuove e promettenti opzioni per la prevenzione e i trattamenti della malattia, che mirano a una gestione a lungo termine piuttosto che alla semplice eradicazione.

Proprio così, bisognerà smettere di vedere il cancro come qualcosa di estraneo, un alieno che cade dal nulla e cui si deve dichiarare guerra; questa logica invece ci fa capire che si tratta di qualcosa che viene dal profondo dell’evoluzione stessa, di noi stessi come organismi pluricellulari. La metafora della guerra è sbagliata perché dà l’idea che il cancro sia qualcosa di diverso e di anomalo rispetto allo stato di salute. Invece fisiologia e patologia in questi casi sono strettamente interconnessi, il che dimostra un principio dell’evoluzione che spesso sottovalutiamo: l’evoluzione non porta alla perfezione, è sempre un compromesso, un gioco di spinte antagonistiche. In questo caso abbiamo due livelli evolutivi che continuano a confliggere e ad essere in competizione l’uno con l’altro: la cellula tumorale che cerca di sfuggire al sistema immunitario, e il sistema immunitario, guardiano della pluricellularità, che gli dice “no, tu devi obbedire alla logica cooperativa dell’organismo di cui fai parte. Come dicono gli evoluzionisti è un continuo ‘arms race’, una ‘corsa agli armamenti’. Immagine che non mi piace perché è un’altra metafora bellica, mentre si tratta di un gioco di adattamenti e contro-adattamenti.

Nel concreto quindi si tratta di comprendere i molti modi in cui le forme di vita multicellulari si sono evolute per tenere il cancro sotto controllo, quei meccanismi cooperativi che non solo l’uomo ma anche altre specie da sempre mettono in atto per gestire il cancro.

Proprio così, perché il cancro per fortuna viene soppresso tantissime volte. Abbiamo sottovalutato il fatto che nel nostro corpo nascono continuamente cellule tumorali; per fortuna per il 99,9 % vengono soppresse dal sistema immunitario e non ce ne accorgiamo mai. Ne ho discusso proprio recentemente alla Fondazione Veronesi, con il grande oncologo Pier Giuseppe Pelicci, direttore della ricerca allo IEO e ordinario all’Università degli Studi di Milano, noto per gli studi su oncogenomica e longevità, che ha mostrato dati incredibili. Come diceva giustamente Pelicci, dobbiamo concentrarci di più sulle capacità collaborative che si sono evolute nell’ultimo mezzo miliardo di anni e che sono già insite nel nostro corpo. Dovremmo studiare un po’ di più gli animali, soprattutto quelle specie in cui si sa che questi meccanismi collaborativi sono più forti e l’incidenza dei tumori è molto più bassa: elefanti, squali, ma anche spugne, cactus… Sono tanti i casi di specie che evidentemente sono state capaci di sviluppare sistemi di protezione più efficaci dei nostri

Un bel cambio di paradigma per l’oncologia…

Sì, perché sulle due ipotesi avanzate fin qui possiamo lavorare fino a un certo punto: possiamo migliorare l’ambiente, ridurre gli agenti mutageni, e anche l’alimentazione è un fattore molto importante, perché non sappiamo ancora bene quanto della nostra alimentazione, che tutto sommato è recente, può avere effetti cancerogeni. Sull’età possiamo fare poco perché dobbiamo aspettarci che aumenti sempre di più, e quindi avremo sempre dentro di noi un nemico, le mutazioni genetiche, perché le cellule vecchie sono più instabili e continuano ad accumulare mutazioni. E allora dov’è che si può lavorare di più? Appunto, sulla co-evoluzione tra la logica tumorale e la logica cooperativa della multicellularità.

Una rivalutazione profonda del modo in cui vediamo e gestiamo il cancro e in generale guardiamo alla salute. Come conclude anche Athena Aktipis:

Accettando il fatto che il cancro fa parte del nostro passato, presente e futuro biologico - e che non possiamo vincere una guerra contro l’evoluzione - i trattamenti possono diventare più intelligenti, strategici e umani.

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