Chiunque viva accanto a un adolescente lo sa: basta un attimo e il loro sguardo si perde, la mente vola altrove, lontana da libri e impegni. Per molto tempo questa tendenza a quello che con termine scientifico viene definito mind-wandering è stata interpretata come semplice disattenzione, o pigrizia cognitiva. Eppure, la mente che vaga non è affatto uno spreco di tempo: al contrario, è uno degli strumenti più preziosi che i ragazzi hanno per crescere. È quanto sostiene, sulla scorta di anni di ricerche e numerosi studi, la neuroscienziata Mary Helen Immordino-Yang, professore di pedagogia, psicologia e neuroscienze alla University of Southern California (e direttrice dello USC Center for affective Neuroscience, development, learning and Education), in un articolo pubblicato nell’agosto 2025 della rivista Le Scienze (Immordino-Yang M.H., Transcendent Thinking May Boost Teen Brains, Scientific American gen/feb 2025).
Questo vagare della mente in realtà è un’attività che riguarda ognuno di noi, giovane, adulto o vecchio che sia: la nostra mente infatti vagabonda di continuo, macina costantemente pensieri, come quando sogniamo ad occhi aperti, rimuginiamo sul passato, ci preoccupiamo del futuro, pianifichiamo, simulando uno scenario dopo l’altro o siamo presi da un chiacchiericcio incessante, con noi stessi e sugli altri. Un’attività tanto presente da assorbire fino al 47% del nostro tempo di veglia .
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Ma, come ricorda la Immordino-Yang, nel caso degli adolescenti questa abitudine a lasciar vagabondare la mente è stata fin qui vista e inserita - fino almeno alla metà degli anni 2000 - in un quadro che vedeva e studiava gli adolescenti quasi solo nei termini delle loro carenze: meno competenti ed esperti, anche emotivamente meno stabili degli adulti e non responsabili appieno delle proprie azioni. ‘Una trottola impazzita, che gira quasi senza controllo’: così Robert Sapolsky, neuroscienziato della Stanford university, descriveva il cervello adolescente nel suo libro Biologia del bene e del male (Come la scienza spiega il meglio e il peggio del comportamento umano, Roi edizioni 2024)
Da anni invece la neuroscienziata della University of Southern California studia il pensiero adolescenziale in modo nuovo. Sulla base della sua esperienza diretta con gli adolescenti, come studenti e come soggetti di ricerca neuroscientifica, ma anche sulla scorta di vari studi. Come quelli di William Damon di Stanford e Kurt Fischer di Harvard, che hanno descritto l’adolescenza come un periodo di capacità emergenti per il pensiero astratto, acuita sensibilità sociale e propensione per le emozioni forti, che consentono agli adolescenti di ricavare, da esperienze o da eventi specifici, principi generali o lezioni personali nascoste.
Determinante per il proseguo di queste ricerche è stata la sua collaborazione con i coniugi Damato, in particolare con il rinomato neuroscienziato Antonio Damato. I loro studi rivoluzionari non riguardano solo le ‘emozioni’ in generale (hanno dimostrato che esse invece di interferire con un pensiero lucido, lo inducono, sono una sorta di scintilla che innesca un pensiero razionale, reattivo alle circostanze e moralmente consapevole), ma anche le emozioni sociali, che Immordino-Yang iniziò a studiare proprio su suggerimento di Antonio Damasio.
Le loro ricerche sullo sviluppo socio-emotivo (Immordino-Yang & Damasio, 2022) hanno evidenziato un elemento fondamentale del ‘pensiero divagante’ (mind-wandering) anche negli adolescenti, e cioè che esso facilita la comprensione degli altri e l’empatia, poiché permette di simulare scenari sociali complessi e di riflettere sui propri valori.
L’articolo citato di Mary Helen Immordino-Yang dimostra nello specifico come il mind-wandering possa costituire un elemento chiave dello sviluppo cognitivo ed emotivo degli adolescenti. Un meccanismo che permette di integrare esperienze personali e sociali, di costruire proiezioni future e scenari possibili e di allenare la resilienza emotiva.
Le ricerche neuroscientifiche hanno infatti mostrato che durante il mind-wandering entra in gioco una rete cerebrale chiamata default mode network, un insieme di aree del cervello che si attivano quando non stiamo facendo niente di specifico: per esempio quando sogniamo a occhi aperti, fantastichiamo, ricordiamo il passato o immaginiamo il futuro. È la stessa che ci permette di riflettere sulle nostre emozioni e pensare a come ci vedono gli altri. Negli adolescenti, questa rete è particolarmente plastica e si intreccia con i processi che costruiscono l’identità.
In altre parole, quando un ragazzo sembra “perso nei suoi pensieri”, in realtà potrebbe essere impegnato in un lavoro silenzioso ma fondamentale: dare un senso a quello che prova, immaginare chi vuole diventare, collegare esperienze diverse della propria vita.
Naturalmente non tutto il mind-wandering è positivo. Se i pensieri che ritornano sono cupi o ossessivi, la mente che vaga può trasformarsi in ‘ruminazione’, alimentando ansia e malinconia. Studi recenti (Mills et al., 2024) hanno confermato che il confine tra creatività e fragilità emotiva, in adolescenza, è sottile.
In generale però, come scrive Immordino-Yang, «il pensiero che vaga non è una fuga dalla realtà, ma uno spazio dove i giovani imparano a collegare emozioni, ricordi e desideri, costruendo il proprio sé”; (…) Questa capacità emergente di riflettere in maniera astratta permette agli adolescenti di capire sé stessi, la propria famiglia, gli amici e la società in generale, ed immaginare quale potrebbe essere il loro posto nel mondo ». E non da ultimo a provare un senso di compassione, di gratitudine, di ammirazione o di stupore.
Inoltre, precisa la scienziata, «ascoltando attentamente le riflessioni degli adolescenti e osservando come si attiva il loro cervello mentre sono distesi in uno scanner per l’acquisizione di neuro immagini, ho scoperto con i miei colleghi che un pensiero che spazia flessibilmente dal qui e ora al passato, al futuro e ogni altro luogo sembra letteralmente costruire il loro cervello. Durante questo pensiero riflessivo, di ampio respiro, emotivamente potente – che chiamiamo trascendente perché va oltre la mera contingenza - importanti reti cerebrali si attivano e si disattivano seguendo complessi schemi dinamici che, come indicavano i nostri dati, crescevano e rinforzavano le loro connessioni ».
Il “divagare” tipico dell’adolescenza, non è dunque solo distrazione: può favorire la maturazione coordinata tra reti cerebrali dell’introspezione e del controllo cognitivo, con ricadute positive sul benessere e sulla vita adulta. Studi longitudinali citati nell’articolo mostrano infatti che i giovani capaci di riflessione trascendente — ossia di collegare vissuti concreti a significati più ampi — tendono a sviluppare maggiore benessere psicologico e migliori performance accademiche.
E, non meno importante, il pensiero divagante, come già ricordato, facilita la comprensione degli altri e l’empatia, poiché permette di simulare scenari sociali complessi e di riflettere sui propri valori.
«Aspetto più significativo, aggiunge la Immordino-Yang, è che questi risultati non avevano alcuna correlazione con il quoziente intellettivo degli adolescenti (…), con i mezzi economici della famiglia, o con il grado di istruzione dei genitori; e nemmeno differivano in base al genere o al gruppo etnico».
Queste scoperte potrebbero e dovrebbero, secondo l’auspicio della ricercatrice, avere importanti ricadute anche nell’educazione. Invece di punire o stigmatizzare la divagazione, occorrerebbe creare spazi in cui essa possa trasformarsi in risorsa.
Bisognerebbe per esempio rivalutare la “pausa riflessiva”: alternando fasi di lavoro focalizzato a finestre di pensiero interno guidato (scrittura autobiografica, immaginazione del futuro, discussioni etiche).
O progettare compiti che richiedano trascendenza, collegando i contenuti a domande di senso e impatto sociale (non solo nozionismo), perché è questo stile che si associa a esiti migliori.
E infine educare al come divagare, distinguendo tra mind-wandering intenzionale/creativo (utile) e quello ruminativo (rischioso); insegnando insomma strategie metacognitive per notare quando la mente scivola nel ruminare e per reindirizzarla.
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Ambienti e pratiche didattiche dovrebbero cioè incoraggiare a “pensare oltre l’immediato”: discussioni morali, connessioni personali con le idee, tempi di pausa riflessiva.
«E per favorire realmente la loro crescita, I genitori, le scuole e le comunità dovrebbero concentrarsi di meno su ciò che i giovani sanno e di più su come pensano».
Forse, allora, dovremmo smettere di chiederci solo come rendere gli adolescenti più concentrati, e iniziare a chiederci come accompagnarli nei loro viaggi interiori. Perché è lì, in quelle pause silenziose, che spesso si accendono i primi lampi di creatività e di identità. E si creano i cittadini di
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/societa/Mindwandering--1801598.html