Società

Quando servono nuove parole per descrivere l’orrore

Parole che ci aiutano a definire, e quindi a vedere e comprendere aspetti a cui non pensiamo di guerre, genocidi, disastri climatici

  • Ieri, 17:00
gaza distrutta

La guerra continua a seminare distruzione a Gaza

  • Archivio Keystone
Di: Elena Panciera 

«Ho disegnato la nostra casa che è stata distrutta dall’occupazione dopo che siamo stati sfollati da Gaza City, e ho disegnato me stessa lì dentro per poter ricordare tutto ciò che c’era nella nostra casa e che non esiste più. Ho disegnato il sole che sorgeva ogni giorno per potermi svegliare con la sua calda luce, e ho disegnato il mio fratellino accanto al sole che è stato martirizzato in questa guerra perché amava molto il sole». Rana Al-Masari, 11 anni, descrive così il suo disegno nel primo numero del giornalino (la “zine”) «Melodies of Hope», creato per raccogliere fondi per l’omonimo progetto creato dal musicista palestinese Mohand Al Ashram, e tradotta e resa accessibile anche in italiano.

Quelle che Al-Masari descrive sono le conseguenze psicologiche ed emotive del domicidio che sta avvenendo a Gaza. Con “domicidio” si intende «la distruzione deliberata e sistematica di case, palazzi e infrastrutture civili in un insediamento abitato, in una città o in una zona circoscritta. In senso ristretto e attenuato, la negazione del diritto all’abitazione».

Balakrishnan Rajagopal, Relatore Speciale sul diritto a un alloggio adeguato delle Nazioni Unite, spiega: «Ho visto con i miei occhi come in pochi secondi una casa - coronamento degli sforzi di una vita e orgoglio di intere famiglie – possa essere spazzata via e ridotta in macerie. Non viene distrutta solo una casa. Vengono distrutti i risparmi di intere famiglie. Vengono distrutti i ricordi e il conforto dell’appartenenza». E continua: «Insieme a questo arriva un trauma sociale e psicologico difficile da descrivere o da immaginare».

Dall’analisi delle immagini satellitari dell’8 luglio 2025, UNOSAT (il Centro satellitare delle Nazioni Unite) identifica 102.067 strutture distrutte, 17.421 gravemente danneggiate, 41.895 moderatamente danneggiate e 31.429 probabilmente danneggiate, per un totale di 192.812 strutture. Corrispondono a circa il 78% delle strutture totali nella Striscia di Gaza e a un totale stimato di 282.904 unità abitative danneggiate.

Il concetto di “domicidio” è stato introdotto per descrivere l’operato di Israele a Gaza, ma anche la distruzione in Siria e Myanmar. Oggi è sempre più riconosciuto in ambito accademico, ma non è ancora stato riconosciuto come crimine contro l’umanità dalla normativa internazionale.

Una definizione simile è quella di “solastalgia”, coniata all’università di Newcastle in Australia dal filosofo esperto di sostenibilità Glenn Albrecht: «Stato di angoscia che affligge chi ha subito una tragedia ambientale provocata dall’intervento maldestro dell’uomo sulla natura» (Vocabolario Treccani, 2018). “Solastalgia” deriva dall’unione di “solace” e “nostalgia”, e significa quindi “nostalgia del conforto”. Indica il senso di malessere che ci invade quando l’ambiente che ci circonda, e che amiamo, viene distrutto a causa dell’emergenza climatica. Questa parola, secondo me, si presta bene anche a descrivere il sentimento di spaesamento dato dalla perdita di punti di riferimento ambientali dovuti a una guerra o un genocidio.

Una definizione simile è quella di “solastalgia”, coniata all’università di Newcastle in Australia dal filosofo esperto di sostenibilità Glenn Albrecht: «Stato di angoscia che affligge chi ha subito una tragedia ambientale provocata dall’intervento maldestro dell’uomo sulla natura». “Solastalgia” deriva dall’unione di “solace” e “nostalgia”, e significa quindi “nostalgia del conforto”. Indica il senso di malessere che ci invade quando l’ambiente che ci circonda, e che amiamo, viene distrutto a causa dell’emergenza climatica. Questa parola, secondo me, si presta bene anche a descrivere il sentimento di spaesamento dato dalla perdita di punti di riferimento ambientali dovuti a una guerra o un genocidio.

Un altro aspetto a cui probabilmente non pensiamo, legato a guerre, soprattutto quelle con intenti genocidari, è il “reprocidio”: la «sistematica eliminazione delle capacità riproduttive di un gruppo, sia biologiche che sociali, come strategia deliberata di annientamento. Comprende violenza diretta e strutturale che mira a impedire le nascite, eradicare le generazioni future e smantellare i sistemi di salute riproduttiva, fisica e psicologica».

La giornalista Ilaria Maria Dondi si interroga sull’idea – diffusa – che con una guerra in corso, in un contesto così fragile e di morte, sia assurdo pensare di procreare. Questo «incarna un pensiero più diffuso di quanto si creda, un’idea paternalista che, sotto la maschera della razionalità, si fa giudizio sui corpi altrui, e in particolare sui corpi delle donne che resistono». E quindi, come spiega la ricercatrice Shoman: «Nel contesto della guerra genocida che Israele sta conducendo a Gaza, il riprodurre serve come tattica» di resistenza. Sono strumenti del reprocidio il bombardamento intenzionale di ospedali e di cliniche ostetriche e della fertilità, così come la fame come arma. «I medici che entrano a Gaza mettono confezioni di latte artificiale nei loro bagagli personali, che vengono però confiscate dalle autorità israeliane in quanto materiale che potrebbe essere utilizzato “contro la sicurezza dello Stato di Israele”. In che senso?» chiede Dondi. E trova la risposta: il latte in formula per neonati prematuri «è un pericolo, eccome: alla buona riuscita del reprocidio».

Avere le parole per definire con esattezza la realtà ci permette di osservarla con maggiore chiarezza e precisione. I neologismi servono anche per questo: per rivolgere l’attenzione su aspetti a cui non avevamo pensato, che non avevamo considerato, finché non diventano evidenti. E hanno bisogno di essere nominati.

Ti potrebbe interessare