Tu sei ovunque siano i tuoi pensieri.
Assicurati che i tuoi pensieri siano dove vuoi che siano” (rabbino Nachman di Breslev)
Già: senza che ce ne rendiamo conto, la nostra mente vagabonda di continuo, macina costantemente pensieri. Come quando sogniamo ad occhi aperti. Rimuginiamo sul passato, ci preoccupiamo del futuro. Pianifichiamo, simulando uno scenario dopo l’altro. O siamo presi da un chiacchiericcio incessante, con noi stessi e sugli altri. È il cosiddetto mindwandering, un’attività che assorbe fino al 47% del nostro tempo di veglia. Da un ventennio Moshe Bar, uno dei più importanti neuroscienziati cognitivi della sua generazione, indaga questa singolare ma importantissima attività della nostra mente. Direttore del Gonda Multidisciplinary Brain Research Center alla Bar-Ilan University di Tel Aviv, Bar ha condensato decenni di studi e ricerche in un volume (Mindwandering: How Your Constant Mental Drift Can Improve Your Mood and Boost Your Creativity, Hachette Go, 2022) in cui spiega come e perché la mente vaga, e come possiamo cambiare la sua traiettoria per renderci più felici e creativi.

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Dunque, la nostra mente è costantemente attiva, anche quando dormiamo; o quando siamo svegli e non ci rendiamo conto che il cervello macina pensieri, vagando liberamente. Grazie alla risonanza magnetica funzionale, la ricerca di questi ultimi anni ha rivelato che un certo numero di regioni cerebrali sono collegate in quella che viene detta Rete in modalità predefinita. Numerose indagini hanno dimostrato che il funzionamento dell'architettura del cervello è distribuito non tanto su singoli moduli e compartimenti quanto su grandi reti. La maggior parte delle funzioni, se non tutte, vengono eseguite tramite l’attivazione e l’orchestrazione di reti multi-area. Una di queste è il Default Mode Network (DMN), rete di regioni corticali e sottocorticali che sono attivate quando l’individuo, in condizioni di piena vigilanza, non presta attenzione ad alcun compito specifico ed è impegnato in una serie di diverse attività involontarie. È quello che i neuroscienziati chiamano appunto ‘mente errante’ o ‘vagabonda’.
Ma perché i nostri cervelli dovrebbero sprecare così tanta energia metabolica quando presumibilmente non stanno facendo nulla? La logica dell'evoluzione suggerisce che questo vagare della mente abbia una sua utilità fondamentale, che è stata infatti dimostrata da Moshe Bar.
Grazie alle sue ricerche si sono potuti individuare e studiare due tipi di ‘vagabondaggio’: quello predittivo e quello esplorativo. Il vagabondaggio predittivo è quello di gran lunga più utilizzato e ci aiuta a sfruttare ciò che abbiamo immagazzinato nella nostra memoria – i ricordi di esperienze passate – per capire come affrontare le varie situazioni della vita e risolvere i problemi connessi. Noi, infatti, cerchiamo costantemente nella memoria quelle associazioni, costruite tramite le esperienze, che ci aiutano a interpretare ciò che sta accadendo e prevedere ciò che potrebbe accadere. Abbiamo cioè bisogno di fare ogni sorta di previsioni. Saper interpretare le situazioni, stabilire chi siamo, capire gli altri e il loro comportamento, saper anticipare la svolta degli eventi, sono tutti elementi cruciali per affrontare la nostra vita.
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Ma facendo costantemente (e necessariamente, in un certo senso) affidamento sulle nostre esperienze passate e sulle associazioni che esse suggeriscono, quindi su una sorta di pre-giudizio, per la maggior parte del tempo siamo disconnessi da ciò che sta effettivamente accadendo nel momento presente, e siamo continuamente soggetti a interpretazioni sbagliate. Inoltre, siamo così inclini a percepire le associazioni prevedibili che trascuriamo le connessioni inaspettate, e questo ostacola sia la scoperta che la creatività. E ciò non solo interferisce con la nostra attenzione, ma porta anche a tutta una serie di interpretazioni errate, che possono causare problemi: come quando pensiamo erroneamente che qualcuno sia inaffidabile solo perché ci ricorda qualcun altro che tale lo era davvero.
Nello stato di vagabondaggio predittivo, insomma, siamo concentrati ad attingere alla nostra esperienza passata, affidandoci a metodi collaudati per interpretare le situazioni che via via ci si presentano e per risolvere problemi, preferendo la certezza del familiare al brivido del nuovo. E questo può ridurre la qualità della nostra esperienza, abbassando il tono del nostro umore e contribuendo potenzialmente ad alimentare ansia e depressione, come dimostrato dalle ricerche che Moshe Bar ha condotto nel corso degli anni.
Ma nel suo laboratorio il neuroscienziato israeliano ha scoperto che noi sperimentiamo – e possiamo pure indurre – anche un altro modo di vagabondare, che viene definito esplorativo, perché spazia ovunque ed è aperto a nuove percezioni. Questo tipo di vagabondaggio mentale, ampiamente associativo, è l’esatto opposto del rimuginare, che invece si focalizza strettamente su qualche ricordo o preoccupazione. Nel vagabondare esplorativo le nostre menti non sono condizionate da quello che già sappiamo o abbiamo sperimentato, ma sono aperte a nuove informazioni. E il nostro umore ne risulta sollevato. Allo stesso modo, quando si è di buon umore, l’attività esplorativa e creativa del cervello è potenziata.
Nel corso delle sue ricerche Moshè Bar ha sperimentato come, migliorando l’umore dei soggetti coinvolti nella sperimentazione, le loro menti hanno iniziato a impegnarsi in un mindwandering di più ampio respiro, diventando più creative nel fornire soluzioni ai compiti che erano stati loro assegnati.
Per immaginare concretamente come queste due modalità di ‘errare’ della nostra mente funzionino, e il più delle volte coesistano, Bar propone vari esempi. Prendiamo quello della sedia. Immaginate di voler aggiustare una sedia di legno; cosa fate? Per prima cosa pensate a tutto ciò che occorre: gli attrezzi adeguati, la colla per il legno eccetera. Ma può succedere che quando scorrendo la lista arrivate allo ‘scalpello’ vi tornino in mente Geppetto e Pinocchio, il dire bugie e il naso che cresce; e subito dopo vi viene in mente come vostro figlio quella mattina vi abbia mentito dicendo di aver portato il cane a fare una passeggiata, perché era pigro ma non ha avuto il coraggio di ammetterlo... O pensiamo a quanto una sola parola può evocare in noi una cascata di associazioni libere. Prendiamo il termine ‘mela’: potrebbe farci pensare a Isaac Newton, e quindi alla gravità, e poi alla fisica, e subito dopo ai giorni di scuola, da lì alla nostra prima cotta, che ci fa pensare all’amore, che ci porta col pensiero ai nostri figli…
Ognuno di noi avanza sulla gigantesca ragnatela che è la nostra memoria – costituita da nomi, oggetti, concetti e sentimenti, tutti collegati tramite associazioni – e cammina metaforicamente su questa rete passando da un punto all’altro, da un nodo concettuale a un altro. Anche se non possiamo vedere ogni passaggio, ogni punto del percorso è connesso al precedente e al successivo. Credere di essere i padroni e i controllori dei nostri pensieri è un’illusione: il pensiero avanza senza interruzioni in base alla propria specifica rete di nodi e connessioni.
Dunque, il nostro cervello si muove costantemente lungo un continuum tra due stati mentali fondamentali e opposti, che Bar chiama appunto esplorativo e predittivo; ma come e quanto la nostra mente vaga, differisce enormemente in ciascuno di noi.
Certo, lo stato esplorativo sembra molto più divertente e attrattivo rispetto a quello predittivo. Ma, come spiega Bar, entrambi questi stati mentali sono vitali per il nostro successo e il nostro benessere. Anche perché in ogni caso è impossibile reprimerli, e tanto meno eliminarli. Così come non esiste una formula magica per ottenere il controllo del nostro stato mentale.
Esistono invece, secondo Bar, dei modi per acquisire maggiore consapevolezza degli stati mentali e del continuo vagare della mente. Ad esempio, la meditazione e l’esperienza del silenzio, che lo stesso neuroscienziato ha sperimentato.
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Ma secondo Bar basterebbe in realtà prendere coscienza della necessità di calibrare, a seconda della situazione, il nostro stato mentale su questo continuum esplorativo/predittivo. Il solo fatto di esserne consapevoli, interrogandoci sul perché stiamo pensando quella cosa e in quel modo, secondo lo scienziato israeliano, aiuta a diventare più efficaci nel dirigere il vagare della mente il più volontariamente possibile. Provare per credere.
La sola consapevolezza di poterlo fare e di poter trarre beneficio dall’osservare il proprio stato mentale, come un osservatore curioso, può far sì che ciò accada anche durante la vita di tutti giorni, mentre si prepara un’insalata o si fa jogging. A produrre il “clic” è lo sforzo di cambiare prospettiva. Di fatto, secondo Bar, ci sono due prospettive possibili: o sei dentro i pensieri e li vivi come una persona seduta sulle montagne russe, oppure li osservi come chi non ha comprato il biglietto e guarda le montagne russe da terra. Due modalità che possono alternarsi passando, in modo automatico o a volontà, dalla partecipazione immersiva all’osservazione esterna: così da assicurarsi che i nostri pensieri siano, almeno ogni tanto, là dove vogliamo che essi siano.