Quando, nel 1827, Stefano Franscini e sua moglie Teresa aprirono una scuola per fanciulli dai 6 ai 16 anni di età a Lugano, se ne avvertì fin da subito la portata rivoluzionaria. Certo, erano gli anni del Risorgimento europeo, il periodo in cui si ebbero le prime costituzioni nazionali e con esse la diffusione del sistema democratico su scala non solo europea ma anche mondiale. Erano anni in cui era necessario puntare sull’istruzione e sul ruolo pubblico dello Stato per evitare di gettare al vento decenni di contestazioni, di sangue e di sacrifici in virtù di rendere protagonista il cittadino nelle decisioni politiche e nell’interesse della società che si andava man mano sviluppando. Uno spirito ottimistico animava uomini e donne, che vedevano dischiudersi davanti ai loro occhi un orizzonte di libertà e di partecipazione.
Ecco che, a duecento anni di distanza, viviamo in un sistema democratico che permette a ciascuno di noi di avere voce in capitolo riguardo ad ogni questione che interessa la Svizzera e i suoi abitanti. Eppure, paradossalmente, la partecipazione al voto diminuisce di anno in anno e il sistema educativo e pubblico – per cui, ribadisco, morirono in migliaia – continua a subire danneggiamenti e, come se non bastasse, addirittura ingiurie e prese in giro. Un vero e proprio patatrac, per citare l’insegnante e poeta Fabio Pusterla, che nell’omonimo articolo sollevava serie preoccupazioni su cui noi tutti dovremmo riflettere.
Se nella folla un volto senza volto
chiede un aiuto assurdo, incomprensibile
e insiste troppo, ed insistendo snerva,
in memoria conserva
le sue miti parole di scandalo:
tu leggi, io invece no. Io sono un servo.
Se non succede nulla, e grigio cenere
corre il fiume dei comodi giorni: disingannati,
altri battono strade più impervie.
Fabio Pusterla, A un liceale annoiato
Non solo: la sempre più scarsa partecipazione al voto è semplicemente l’effetto di una sempre minore fiducia nel ruolo pubblico e lungimirante che dovrebbe ricoprire lo Stato, il Cantone e il Comune. Sì, perché le coscienze e il comportamento della cittadinanza passano in primis dal fondamentale ruolo che ricoprono l’istruzione e l’informazione pubblica in una società democratica. Ma investire sull’istruzione e sull’informazione, e di riflesso sul settore pubblico, è un investimento a perdere. Perdere cosa? Soldi pubblici. Dinamiche mentali che riassumono facilmente ciò che smuove realmente le coscienze nella nostra contemporaneità: il denaro. Non sia mai che si concentri la propria attenzione sui settori che rendono funzionante una democrazia e la società di domani. Nossignore, non fanno business!
Come formare i docenti?
Falò 02.09.2025, 20:50
Per esperienza diretta, posso dire che condurre una lezione in una classe con venticinque allievi è estremamente complesso. Il rischio è che l’insegnamento perda efficacia, diventando faticoso sia per chi insegna sia per chi apprende. Potenziare le strutture scolastiche per garantire un’istruzione di qualità, aumentare il numero di docenti e formare cittadini consapevoli, capaci di orientarsi nel mondo con senso critico e autonomia, appare oggi come una sfida impossibile. È molto più semplice tagliare i fondi al settore pubblico, tanto dell’informazione quanto dell’istruzione, e racimolare i milioni risparmiati per puntare sull’intelligenza artificiale più performante o su equipaggiamenti militari di ultima generazione. I tempi sono difficili per chi ambisce ad accedere all’insegnamento: talvolta si ricorre all’autofinanziamento, salvo poi constatare che le opportunità concrete per insegnare sono limitate. Una conseguenza prevedibile, se si continua a sovraffollare le classi e a delegare al singolo docente il compito gravoso di accompagnare allievi e allieve in percorsi sempre più complessi e delicati..
Pizzichiamoci! Citando nuovamente Pusterla in un passaggio della poesia Un liceale annoiato. Prendiamo atto della direzione che sta prendendo la società ed evitiamo di lamentarci del risultato finale. Oppure, rimbocchiamoci le maniche e torniamo ad essere degni di vivere in democrazia. Perché quest’ultima è prima un dovere e poi un diritto.
Dossier: scuola

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