Qualche settimana fa ho subito una piccola operazione chirurgica. Un intervento in day hospital, ma sono arrivata in sala operatoria piuttosto agitata, perché nessuno mi aveva spiegato con chiarezza che cosa sarebbe successo. Una volta dentro, mi hanno consegnato un plico di fogli scritti fitti fitti, pronti per essere firmati: «È il consenso informato», mi ha detto l’infermiera. Ho chiesto se mi avevano inviato il documento in anticipo. «No, perché tanto questo è un intervento di routine. Lo facciamo vedere direttamente qui, per risparmiare tempo», mi è stato risposto.
Mi sono seduta sullo sgabello, e mi sono messa a leggere, pagina dopo pagina. Il linguaggio era abbastanza tecnico, il testo era denso di informazioni, e venivano date raccomandazioni sullo stile di vita da tenere per almeno due settimane prima dell’operazione. Io però le venivo a sapere solo in quel momento.
E intanto pensavo: ma se l’italiano non fosse la mia prima lingua? Se fossi dislessica o disgrafica? Se avessi una scolarizzazione bassa? Se avessi problemi di vista, e avessi dimenticato gli occhiali da lettura a casa? Se avessi una disabilità intellettiva? Se avessi un disturbo d’ansia? In tutti questi casi, quel testo non mi sarebbe stato accessibile. Un testo in cui la persona paziente dichiara di essere stata adeguatamente informata da parte dell’ospedale sui rischi che corre accettando di essere operata.
Io ho deciso di firmare, dopo una sfuriata al personale medico. E poi ho inviato un reclamo ufficiale, per iscritto.
Mi sono chiesta, allargando il campo anche oltre il settore medico, a quello legale, a quello tecnico, a quello aziendale: quanti reclami potrebbero essere evitati, se la comunicazione venisse gestita in modo chiaro e non superficiale? Quante richieste di spiegazioni si potrebbero evitare? Quanti fraintendimenti, quante incomprensioni? Quante cause legali? Quanti ordini sbagliati, e conseguenti chiamate al servizio clienti? Quante recensioni negative? E, al contrario: quanto pubblico in più si può raggiungere, comunicando in modo chiaro, comprensibile, attento alla persona, accessibile?
Dai dati raccolti nel 2022/2023 nell’ambito del Programma internazionale per la valutazione delle competenze degli adulti (PIAAC) dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), risulta che il 22% della popolazione svizzera (1,25 milioni di persone) ha ottenuto un punteggio basso in lettura, e solo il 50% ha competenze buone o ottime. 1 persona su 5, in Svizzera, fatica a comprendere un testo scritto, e questo ha rilevanti conseguenze sociali: tra chi ha difficoltà di lettura, per esempio, la disoccupazione è più elevata.
I costi dell’inaccessibilità testuale sono quantificabili: per esempio, leggi scritte in modo incomprensibile fanno perdere all’Italia 110 miliardi all’anno di Pil, circa il 5%: per ottenere questa stima, Gabriele Gratton, Luigi Guiso, Claudio Michelacci e Massimo Morelli sono partiti dall’osservazione che «un quadro legislativo poco chiaro genera incertezza sui diritti e sugli obblighi, scoraggia gli investimenti, frena l’innovazione e ostacola la crescita imprenditoriale, riducendo così il potenziale produttivo del paese». Osservano poi che «la qualità della legislazione italiana [è] peggiorata in modo drastico creando un caos normativo senza precedenti. [...] Oggi, l’85 per cento delle frasi nei testi legislativi supera le 25 parole – il limite indicato dai linguisti come soglia oltre la quale la chiarezza del testo risulta compromessa».
Già nel 2008 era stato calcolato quanto tempo ci avrebbe messo una persona statunitense per leggere le complicatissime (e spesso incomprensibili) privacy policy che incontrava in un anno: 76 giornate lavorative, per un costo totale ipotetico per la nazione di 781 miliardi di dollari – oggi sarebbero sicuramente di più.
Dall’entrata in vigore dell’European Accessibility Act, a giugno 2025, tutte le aziende dell’Unione Europea (e le aziende fuori dall’UE che vendono prodotti o servizi in UE) che hanno più di 10 dipendenti e 2 milioni di euro di fatturato sono tenute ad avere app, siti e documenti digitali accessibili. Questo significa che anche il testo deve essere «leggibile e comprensibile».
Inoltre, in Europa ci sono standard specifici a cui fare riferimento per i testi accessibili: la norma UNI ISO 24495-1:2024 Linguaggio chiaro – Parte 1: Principi e linee guida definisce i principi per redigere testi chiari (rilevanza, facilità a trovare le informazioni, comprensibilità, usabilità). Nel 2025 è uscita la seconda parte, non ancora tradotta in italiano, dedicata al linguaggio chiaro in ambito giuridico. La terza parte sarà dedicata alla scrittura scientifica.
Le iniziative per rendere i testi più accessibili, in Svizzera, sono sempre di più. Tra queste, da gennaio 2025 RSI propone un notiziario in lingua facile. La lingua facile usa frasi molto semplici e chiare, per facilitare la comprensione dei testi. È particolarmente utile per le persone con disabilità cognitive, ma anche per chi, per varie ragioni, ha difficoltà a comprendere testi complessi: persone con difficoltà di apprendimento, che hanno problemi di concentrazione, o persone che hanno una prima lingua diversa dall’italiano, o che hanno interrotto il percorso scolastico.
La mancanza di chiarezza dei testi ha un costo sociale ed economico. Adottare un linguaggio chiaro fa risparmiare tempo e soldi, oltre a garantire l’accesso alle informazioni a una fascia di popolazione più ampia, e quindi una maggiore giustizia sociale.
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/societa/European-Accessibility-Act-le-conseguenze-per-le-aziende-svizzere--2944182.html