Moda e politica

Storie di donne e tasche negate

Dalle suffragette alle passerelle 2025: le tasche non sono solo una questione sartoriale, ma un fatto politico

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Di: Emanuela Musto 

Sulle passerelle autunno/inverno 2025-2026 di Prada e Louis Vuitton, si sono viste sfilare modelle con le mani ben infilate in tasche profonde come il patriarcato. I più diranno: “embè?”. Embè, si tratta di un gesto apparentemente banale, ma che grida vendetta. Perché se pensate che il femminismo si giochi solo tra Parlamento e diritti civili, è tempo di rovistare in un’altra storia: quella delle tasche. Sì, proprio quelle. Quelle che gli uomini hanno sempre avuto, capienti e democratiche, mentre alle donne sono state negate, ridotte, nascoste o trasformate in decorazioni inutili. Il diritto alla tasca è il diritto all’autonomia.

suffraggetta

Dal busto alla borsa: un complotto ben cucito

Nel Medioevo, uomini e donne portavano borse legate alla cintura, un po’ come marsupi ante litteram. Anche Ötzi, la mummia preistorica ritrovata nel 1991, ne aveva una: la tasca è più antica del patriarcato stresso. Dal XIII secolo, con l’aumento dei borseggiatori urbani, le borse iniziarono a essere nascoste nei vestiti. Gli uomini si cucirono le tasche nei cappotti e nei pantaloni. Le donne? Bè, le donne indossavano le cosiddette “tasche a strappo”. Delle vere e proprie sacche legate in vita, nascoste sotto strati di gonne con una fessura laterale per poterci infilare le mani. L’inghippo? Erano accessibili solo dopo una seduta di striptease. Libertà condizionata, insomma. E così nacque la disuguaglianza sartoriale tra uomo e donna e si andò solo a peggiorare.  

Alla fine del Seicento, le tasche femminili restano invisibili, ma decorate e capienti: contenevano di tutto, dal profumo al cucito, dal denaro agli occhiali. Il Victoria and Albert Museum conferma che spesso le donne ne indossavano due contemporaneamente. Ma nei ritratti dell’epoca non si vedono: dovevano restare nascoste. Perché una donna che porta i propri beni addosso è una donna pericolosa.

tasche medievali

Durante la Rivoluzione Francese, le tasche femminili furono bandite. Non sia mai che Madame nasconda un volantino sovversivo. Al loro posto comparvero minuscoli reticoli ricamati – che a malapena contenevano un fazzoletto e una moneta - e, più tardi, la borsetta. Elegante, certo, ma soprattutto controllabile. Questa era il segnale chiaro che le donne non avevano accesso a denaro o proprietà, a questo ci pensavano le tasche dei mariti.

tasche '800

Nel 1881 nasce a Londra la Society for Rational Dress, che promuove bustini morbidi, pantaloni comodi e tasche capienti. Elizabeth Smith Miller e Amelia Bloomer lanciano il bloomers look: pantaloni larghi sotto una gonna corta, con tasche vere in contrasto con i corsetti e le crinoline che dominavano la moda femminile. Un affronto al sistema, un inno alla comodità.
Charlotte Perkins Gilman, nel 1905, scrive sul New York Times: «Una borsa non è una tasca». E con questa affermazione, la battaglia sartoriale diventa ufficialmente politica. Di tutta risposta le tasche diventano per la prima volta una questione femminista quando, 5 anni dopo, la American Ladies Tailor’s Association crea il “completo da suffraggette”. Tema trattato anche dalla suffragista e scrittrice statunitense Alice Duer Miller in un poema della raccolta satirica Are Women People? (Le donne sono persone?).

Con le guerre mondiali e l’ingresso massiccio delle donne nel lavoro industriale, l’abbigliamento diventa più pratico. Le tute da lavoro hanno tasche vere. Nel periodo tra le due guerre, Coco Chanel le porta nell’alta moda introducendo abiti e giacche con tasche capienti, esaltando un’eleganza comoda e attiva. Tuttavia, nel dopoguerra la moda haute couture torna a sacrificare la funzionalità sull’altare dell’estetica. Difatti, Christian Dior dichiara nel 1954 « Gli uomini hanno le tasche per tenerci le cose, le donne per decorazione».

chanel tasche

Negli anni ’60-’70 le rivendicazioni femministe riportarono il tema al centro: «We need pockets!» diventa slogan di indipendenza quotidiana. Marchi di prêt-à-porter e designer progressisti iniziarono a progettare abiti con tasche visibili e capienti.

Avanti veloce di 50 anni: siamo ancora qui. I nostri smartphone sono grandi quanto un’opera di Tolstoj, ma le tasche dei jeans femminili sembrano progettate per contenere un pacchetto di TicTac. Le influencer mostrano life hack per infilare la carta di credito tra la custodia del telefono e la cover: la creatività al posto del diritto. Con l’hastag #wewantpockets che sta guadagnando terreno su social come TikTok sempre più ragazze denunciano questo divario di genere sartoriale. La moda parla di “linee pulite”. Noi parliamo di tasche decorative: un eufemismo di finta libertà. Per fortuna, la stagione 2025/26 annuncia il ritorno dell’utility chic: blazer con tasche triple, gonne cargo con compartimenti segreti, cappotti che sembrano armadi ambulanti. I brand si atteggiano a pionieri, ma le suffragette ci avevano già pensato. La tasca è politica. Punto.

La pocket inequality è ancora viva e cucita nei nostri vestiti. Le tasche femminili sono più piccole, più finte, più rare. Il tailoring maschile, con i suoi pantaloni pieni di comparti, ha sempre celebrato la mobilità e la gestione autonoma. Le gonne femminili, con il loro eterno “dove metto il telefono?”, raccontano invece un secolo di dipendenza silenziosa. E questo dice molto: dice che l’autonomia pratica è ancora un lusso. Una tasca non è solo stoffa. È uno spazio privato, un luogo di potere, un rifugio economico. Negarla significa dire che le donne non hanno bisogno di soldi, né di strumenti. Solo di un marito con tasche capienti.

La prossima volta che provate un abito, infilate le mani dove dovrebbero esserci le tasche. Se non ci stanno, chiedetevi chi ha deciso che il vostro spazio privato dovesse ridursi a una clutch da cocktail. Le suffragette chiedevano il voto. Noi, nel 2025, vogliamo il pacchetto completo: diritti, autonomia e tasche abbastanza profonde da contenere entrambi.

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