Una lettera aperta è stata inviata negli scorsi giorni all’Ufficio Federale della cultura, firmata da una parte del cinema svizzero, soprattutto tedescofono, che chiede una maggiore visibilità internazionale dei film svizzeri ed una maggiore concentrazione dei finanziamenti sulle produzioni con ampio potenziale di pubblico o di straordinaria qualità artistica. Colpisce però l’assenza di firmatari dalla Svizzera italiana o francese: perché questo appello non raggiunge l’unanimità?
Ad Alphaville, discutono sul tema Niccolò Castelli, regista, direttore della Ticino Film Commission e direttore artistico delle Giornate cinematografiche di Soletta, e Domenico Lucchini, già direttore del CSIA, e per anni responsabile della promozione degli investimenti cinematografici in Svizzera all’Ufficio federale della cultura.
L’appello (di una parte) del cinema svizzero
Alphaville 26.09.2025, 12:05
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La recente lettera aperta indirizzata all’Ufficio federale della cultura e alla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider ha acceso un dibattito profondo e necessario sul futuro del cinema svizzero. Firmata da un ampio gruppo di professionisti del settore – tra cui le registe Petra Volpe e Sabine Boss – la missiva chiede riforme urgenti nel sistema di sostegno, con l’obiettivo di valorizzare il potenziale creativo e commerciale del cinema nazionale.
Sophie Toth, produttrice e portavoce dei firmatari, ha chiarito che l’appello non è contro il cinema d’autore o documentaristico, ma punta a una coesistenza virtuosa tra generi: «Siamo convinti che sia i film pensati per il grande pubblico, sia quelli da festival contribuiscano a definire la cinematografia svizzera e che debbano coesistere e completarsi a vicenda». Due le richieste centrali: una maggiore concentrazione dei fondi su film con potenziale di pubblico o qualità artistica eccezionale, e l’aumento della visibilità e della quota di mercato, con l’ambizioso obiettivo del 20%. Attualmente, la Svizzera si attesta su un modesto 10%, ben lontana da paesi come Germania, Danimarca o Paesi Bassi.
Domenico Lucchini ricorda come simili rivendicazioni non siano nuove: «Già a metà degli anni 2000 si parlava di cinema popolare e di qualità, ma quella formula suscitò reazioni forti, come quella di Ivo Kuschner, allora direttore delle Giornate di Soletta». Lucchini sottolinea il rischio di un eccessivo economicismo: «Non mi baserei solo sulle quote di mercato. In Italia, ad esempio, il 25% di quota non ha impedito una precarizzazione del settore».
Niccolò Castelli ne riconosce il merito: «Solleva una discussione su cosa vogliamo come cinema del futuro». Castelli propone inoltre una distinzione netta tra cinema d’autore e cinema popolare, con criteri di finanziamento specifici per ciascuno: «Il cinema d’autore nutre quello popolare, crea registi e registe del futuro, mentre il cinema per il grande pubblico fa da traino per la visibilità del settore».
Entrambi gli ospiti evidenziano la necessità di sostenere il “ceto medio” del cinema, troppo spesso schiacciato tra produzioni milionarie e opere sotto-finanziate.
Lucchini ricorda che lo studio Gold Media, commissionato dall’Ufficio federale, non propone rivoluzioni ma aggiustamenti. E auspica l’implementazione di misure concrete già dall’autunno, come il sostegno ai nuovi formati e tecnologie, e la creazione di un istituto autonomo del cinema.
Il cinema svizzero, insomma, è chiamato a un delicato equilibrio: riformare senza snaturare, promuovere senza omologare, sostenere senza disperdere. Un compito complesso, ma fondamentale per garantire un futuro forte e diversificato alla settima arte nazionale.


