Storia

Casagrande: un percorso editoriale lungo un secolo

Radicamento nel territorio e apertura verso l’altrove. Analizziamo la linea editoriale con Sara Groisman, redattrice e responsabile della collana di letteratura e saggistica delle Edizioni Casagrande

  • 17 settembre, 08:24
  • 17 settembre, 09:48
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Libero Casagrande con il figlio Fabio, 1999

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Di: Joshua Babic 

Sono in corso i festeggiamenti per i 75 anni dalla nascita della casa editrice svizzera Casagrande e per i 100 dell’omonima libreria bellinzonese. Per celebrare questi due importanti anniversari, la casa editrice ha pubblicato Cent’anni di libri e libertà, un “reportage per immagini” che ripercorre un secolo di lavoro con i libri.

Ho colto questa opportunità per intervistare Sara Groisman, la giovane redattrice che, da un anno a questa parte, è responsabile delle collane di letteratura e di saggistica delle Edizioni Casagrande. Con Sara abbiamo parlato di linee editoriali, di collane, di prossimità e di orizzonti, di coincidenze, di “officine linguistiche”, di linguaggio, di voce.

Dando una coerenza complessiva alle opere pubblicate, la linea editoriale definisce l’identità di una casa editrice. Partiamo pertanto da qui: qual è la linea editoriale delle Edizioni Casagrande?

Casagrande è una casa editrice generalista: pubblica opere letterarie in prosa e poesia, saggi, cataloghi d’arte, guide… Sono tipologie molto diverse e ognuna ha una sua linea editoriale. Un elemento forte che determina l’orientamento di tutto il catalogo è il radicamento nel contesto locale, che è sempre rilevante per le case editrici che hanno sede fuori dai grandi centri. Nel caso di Casagrande, particolarmente influente è il fatto di essere situati in una terra di confine come il Ticino: siamo sul confine con l’Italia, dove distribuiamo i nostri libri, ma anche con le altre regioni linguistiche della Svizzera, e questa abitudine al confronto con altre lingue si riflette nel nostro catalogo, dove si trovano tante opere in traduzione e tanti volumi pubblicati in coedizione con editori elvetici. Poi, radicamento non significa pubblicare solo libri incentrati sul territorio: il Ticino è il nostro ancoraggio, è il punto da cui osserviamo le cose; ma cerchiamo di partire da questo contesto per guardare più in là.

Qualche settimana fa abbiamo pubblicato un libro che mi sembra un buon esempio di questo approccio: Un incrocio è una raccolta di racconti di Kafka scelti e illustrati da Leo Maillet. Se abbiamo potuto lanciarci nell’impresa di riproporre delle prose di Kafka in un libro illustrato, è grazie alla scoperta che Leo Maillet, un artista tedesco del Novecento che ha passato l’ultima parte della sua vita in Ticino, ha illustrato una decina di racconti di Kafka. Gran parte di queste opere è conservata al Museo d’arte Mendrisio. Questo legame “locale” ci ha permesso di collaborare con il Museo, che ha organizzato una mostra ed è coeditore della raccolta. Sarebbe stato molto più difficile pubblicare un libro del genere se fosse stato del tutto distante dal contesto in cui lavoriamo.

L’identità di Casagrande, però, non si risolve in questo radicamento…

Nelle collane letterarie, ciò che accomuna gli autori pubblicati è una particolare attenzione alla lingua. Sono libri in cui il come vengono dette le cose è tanto importante quanto il cosa viene detto: il lettore viene conquistato dalla voce, dal tono di chi racconta, prima che dalla trama. A questo proposito, c’è una bella citazione di Fabio Pusterla nella copertina della nuova edizione tascabile de La disdetta di Anna Felder. Pusterla dice che Anna Felder «non usava la lingua per raccontare, ma si serviva del racconto per scrivere». È questo tipo di scrittura che cerchiamo.

La linea editoriale può cambiare nel tempo?

La nostra linea editoriale non è qualcosa che Libero Casagrande ha deciso una volta per tutte nel 1949… si trasforma a seconda di quello che si pubblica e delle persone che sono vicine alla casa editrice. Di certo, il passato ci dà un tracciato entro cui muoverci; ma ogni titolo che si aggiunge al catalogo apre anche nuove piste.

Prendendo di nuovo come esempio il libro di Kafka, qualcuno potrebbe dire che questa pubblicazione si discosta dalla nostra linea editoriale: non pubblichiamo molti libri illustrati, e poi per una realtà come la nostra è difficile riuscire a ritradurre un classico come Kafka, di cui esistono già tante ottime versioni. Da una decina d’anni, però, la casa editrice si sta affermando nel campo dei cataloghi d’arte e dei libri d’artista, che oggi rappresentano una parte importante delle nostre pubblicazioni. Questo naturalmente influenza la linea editoriale, ampliandola; e si può dire che il libro di Kafka stia all’“incrocio” tra le nostre collane letterarie e artistiche.

Da una parte, la linea editoriale permette ai redattori di fare una selezione dei manoscritti proposti. Dall’altra parte, permette ai lettori di orientarsi e di operare delle scelte di lettura. In un certo senso, contribuisce a una “fidelizzazione” dei lettori. A che tipo di lettore si pensa quando si decide che cosa pubblicare per le Edizioni Casagrande?

Faccio fatica a immaginarmi a priori un lettore ideale – anzi, in un qualche modo mi sembra sbagliato provarci. Quel che vorrei, e penso che valga anche per la casa editrice, è riuscire a portare i libri che ci convincono a più persone possibile – persone che non avremmo immaginato di raggiungere e che magari non si sarebbero aspettate che quello specifico libro facesse per loro. Uno degli aspetti principali che contraddistinguono le case editrici che ammiro, per esempio Adelphi, Fitzcarraldo, o anche una piccola casa editrice svizzera come La Baconnière, è il fatto che le pubblicazioni non vengano scelte perché si pensa che possano piacere a un pubblico preesistente: è la casa editrice che crea il proprio pubblico con la forza delle sue proposte.

Nel linguaggio dei treni, la coincidenza è la possibilità prevista dall’orario che un treno in partenza da una stazione possa offrire il servizio a passeggeri provenienti da un altro treno in arrivo nella stessa stazione. Durante la conferenza stampa del centenario della libreria Casagrande, Matteo Terzaghi accennava al fatto che tra le collane delle edizioni Casagrande ci sono delle coincidenze. Potresti illustrarcene alcune?

Un libro che per me illustra bene questa rete di coincidenze interne al catalogo è l’antologia Negli immediati dintorni, che guarda caso è a tema ferroviario: per ogni stazione del TILO è stato scelto un autore e gli si è chiesto di parlare di quello specifico luogo. Quell’antologia per Casagrande è un vero e proprio crocevia ferroviario, una piccola Olten: da una parte, vi si trovano testi di autori che hanno collaborato per anni con la casa editrice, come Fabio Pusterla, che oltre a pubblicare dei libri è stato anche consulente, curatore e traduttore, o la storica dell’arte Simona Martinoli, che ha pubblicato con noi degli studi, è nel comitato scientifico di «Archivio Storico Ticinese» e, come direttrice della Fondazione Arp, pubblica regolarmente dei cataloghi; dall’altra, ha segnato l’inizio di collaborazioni solide, ad esempio quella con lo storico della cultura Alberto Saibene.

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Leggendo le opere pubblicate presso Casagrande, si intravede dietro una vera e propria officina linguistica. Tantissime traduzioni (da lingue diverse), una scelta di autori che hanno un rapporto particolare con la lingua (Ágota Kristóf ne è un esempio paradigmatico), e poi, naturalmente, le revisioni, le messe a punto che portano un libro alla sua forma finale. Quali sono gli attrezzi di questa officina e come li usate?

L’attrezzo fondamentale del redattore, direi, è la sensibilità linguistica. Appoggiandosi su questa, si dialoga con le altre persone coinvolte nel lavoro sul testo: gli autori, naturalmente, ma anche i traduttori, che nel loro lavoro di trasporto di un’opera da una lingua all’altra sprofondano nel testo e nei suoi meccanismi raggiungendo abissi che spesso rimangono inaccessibili con gli strumenti della critica letteraria: i bravi traduttori “rivivono” il processo di scrittura, e così facendo hanno una percezione quasi tattile del testo originale. Questo rapporto tattile col testo lo ha anche il redattore: a guardarlo da fuori, il suo sembra un mestiere intellettuale, ma nella pratica ha qualcosa di fisico: leggi un testo e ascolti, senti, nel tentativo di individuare i nodi da sciogliere, i punti da rafforzare eccetera. Detta così sembra che sia un mestiere completamente soggettivo, ma è interessante che spesso, quando discuti con l’autore o il traduttore, questi ti confermano che dove avevi percepito un passaggio irrisolto loro avevano effettivamente avuto delle difficoltà: è una conferma oggettiva di qualcosa che si avverte in modo molto personale. Penso anche che, nel revisionare un testo, non si possono applicare delle regole prestabilite su “come dev’essere un libro”: ogni testo è diverso e il compito del redattore è cercare di aiutare chi l’ha scritto a dire al meglio quello che voleva dire.

In occasione del centenario è nata anche una nuova collana, i Tascabili, una selezione in formato ridotto degli autori più amati della casa editrice. Perché è importante potersi mettere in tasca un’autrice come Anna Felder o un autore come Plinio Martini?

Riproporre un titolo in tascabile è un modo per dargli nuova vita: presentandolo al pubblico in una nuova veste, la casa editrice ribadisce che lo considera vivo e valido per il presente.

Nella collana ci saranno sia titoli storici, sia libri molto amati dal pubblico, sia, anche, libri che magari all’epoca della loro uscita non avevano avuto un grande successo ma che ci piacciono particolarmente. Il formato tascabile permette di proporli a un prezzo più accessibile: è un modo per invitare anche i lettori più giovani a scoprirli.

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