Storia

L’alba più buia di Chiasso

Il 28 aprile 1945 la città si svegliò davanti ai fucili e agli elmi nazisti

  • 28 aprile, 11:00
  • 28 aprile, 11:30
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I fatti di Chiasso

RSI La storia infinita 28.10.2024, 21:00

  • Archivio Federale Svizzero
  • Jonas Marti
Di: Jonas Marti 

Chiasso si sveglia nella sua alba più buia il 28 aprile 1945. Quando la luce tocca i cancelli di filo spinato, dall’altra parte, scintillano gli elmi nazisti e il metallo delle mitragliatrici. Trecento soldati tedeschi, ammassati nella terra di nessuno, aspettano davanti alla frontiera: SS, Kriegsmarine, uomini e ragazzi disperati, pronti a tutto pur di non cadere nelle mani degli americani.

Sono in trappola. I carri armati alleati hanno già travolto Milano e Como. Mussolini è un fuggiasco e sta vivendo le ultime drammatiche ore della sua vita. La guerra è ormai agli sgoccioli. Ma i nazisti cercano ancora una via di scampo. Vogliono sfondare il confine svizzero, temendo il peggio: essere catturati, consegnati ai sovietici, e sparire nei campi di prigionia in Russia.

Cosa fare? I tedeschi non vogliono arrendersi, gli americani vogliono catturarli. E in mezzo i soldati svizzeri non possono fare entrare i tedeschi armati in terra neutrale.

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  • Archivio Federale Svizzero

L’aria del mattino è elettrica. I comandi svizzeri hanno fatto sgomberare in tutta fretta Corso San Gottardo. Le strade deserte risuonano solo dei passi cadenzati delle pattuglie e del rombo distante dei blindati americani che avanzano da Como. I tremila soldati svizzeri sono in stato di massima allerta, le mitragliatrici pesanti puntate, i cannoni del 23º gruppo motorizzato schierati in posizione strategica. Gli scontri a fuoco tra americani e tedeschi potrebbero riversarsi in territorio elvetico. Centinaia di soldati e civili potrebbero morire. Ma l’ordine di Berna è chiaro. I tedeschi non devono entrare.

È allora che un uomo si muove. Il colonnello ticinese Mario Martinoni, comandante del reggimento, sale su un’automobile, supera il confine e corre a Como. Non ha una mappa, non ha contatti, gira per strade sconvolte, tra edifici crivellati di colpi, interroga soldati per strada. Finalmente qualcuno lo guida all’Hotel Suisse Metropole sulla piazza Cavour dove, tra sacchi di sabbia e uomini armati, trova il quartier generale del 13° Reggimento Corazzato e incontra il maggiore statunitense Joseph McDivitt.

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  • Archivio Federale Svizzero

In pochi minuti concitati ottiene ciò che cercava: la promessa che i soldati tedeschi non saranno consegnati ai sovietici, ma internati in campi americani. Martinoni riparte. La macchina sfreccia di nuovo verso il confine. A Chiasso, con McDivitt e il console svizzero a Milano, Franco Brenni, convince i tedeschi ad arrendersi. Uno ad uno, piangendo, i soldati depongono le armi. Alcuni baciano i fucili prima di consegnarli, altri procedono con la testa bassa, in silenzio. Una breve cerimonia, dignitosa, concessa per salvare il loro onore.

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“Bravo Martinoni! Bravo Colonnello!”. La gente si riversa per strada. Martinoni ha salvato Chiasso. Ha evitato una strage. Ma dall’altro capo del telefono, a Lucerna, i toni sono ben diversi. Il giorno dopo, 1500 soldati ticinesi vengono rimpiazzati da truppe svizzero-tedesche, ritenute più affidabili. Per i suoi superiori, Martinoni ha abbandonato il posto di comando senza autorizzazione. Invece di ricevere una medaglia, verrà esautorato e punito.

Sarà riabilitato solo dopo la sua morte, nel 2010. Oggi, una lapide di vetro davanti alla dogana di Ponte Chiasso lo ricorda con poche parole, più forti di qualsiasi mostrina. “Risparmiò a questa città gli orrori della guerra.”

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