È sulla ribalta da meno di una settimana, ma fa già discutere tantissimo. Per ciò che è, per quanto rappresenta e per tutte le implicazioni che avrà per un’industria importante come quella del cinema. Si chiama Tilly Norwood, ha un aspetto bellissimo, si presenta come un’aspirante attrice, ma è a tutti gli effetti una creazione virtuale: un prodotto dell’intelligenza artificiale (IA), per la precisione, che ha fatto ufficialmente la sua comparsa lo scorso 27 settembre nel quadro del Zurich Film Festival.

Tilly, l’attrice che inquieta Hollywood
Modem 03.10.2025, 08:30
L’entrata in scena di Tilly Norwood ha già suscitato non poche polemiche. Da parte degli attori, anzitutto, che temono di finire soppiantati dall’IA. E poi da autori e critici che paventano lo snaturamento di un attività, quella del grande schermo, che rappresenta un’industria di peso, ma è soprattutto un mezzo di espressione artistica. E umana. Per fare il punto su questa novità, e su tutto ciò che comporta, Modem, il magazine di approfondimento radiofonico della RSI, ha proposto venerdì un confronto di opinioni fra addetti ai lavori: Frédéric Maire, già direttore del Locarno Film Festival e della Cineteca nazionale svizzera, la cineasta e regista Elettra Fiumi e il giornalista e critico RSI Alessandro Bertoglio.

Fréderic Maire, già direttore del Locarno Film Festival e della Cineteca nazionale svizzera
Nel corso del dibattito Frédéric Maire ha evocato “una volontà, veramente, di far sparire la dimensione umana”, sottolineando come nel cinema, per via di queste tecnologie avanzate, ci si trovi ormai “in una situazione che somiglia ad una rivoluzione industriale”. Ma il problema, ha argomentato, risiede nel “saper differenziare fra quello che la realtà è” e “questa nuova realtà immaginata a partire da tutto quello che è stato dato” a una macchina “per generare un essere”. Maire non ha poi mancato di rilevare che Tilly Norwood “recita male”: nel senso che “non ha un’anima, non ha quelle esitazioni e quei difetti” che sono propri degli esseri umani. Ma il punto è che ormai tanti prodotti “si potranno fare con creature che non esistono” e che “all’industria costeranno molto meno”. Col rischio di far perdere il lavoro ad attori e tecnici “che non avranno più niente da fare”. Tilly Norwood rappresenta intanto la “visione di un mondo dove l’essere umano creativo rischia completamente di sparire”. A prendere corpo è così un divario fra “un cinema di artisti che cercano di fare cose con esseri umani, anche utilizzando” gli strumenti dell’AI e un cinema commerciale che invece “farà sempre più riferimento a questi strumenti, dimenticandosi di quello che è l’essere umano dietro”.

La regista e produttrice Elettra Fiumi
Elettra Fiumi, realizzatrice che si è specializzata nel ricorso all’IA nei film, ha invece cercato di illustrare il terreno di opportunità legate a queste tendenze. “La cosa più importante per chiunque è del mestiere”, ha osservato “ è di conoscere questi strumenti, di capirli per poter adattarsi, perché ci saranno nuovi ruoli”. Un attore ad esempio, previo ovviamente il suo consenso e dopo una negoziazione contrattuale, potrà concedere l’uso della propria immagine in funzione di queste nuove produzioni. E prestarsi magari “all’addestramento di un modello, facendosi fare delle riprese per 2 settimane”, anziché per una produzione di 3 mesi. Potrà così in seguito “vivere anche sulle royalties” per qualsiasi cosa che verrà fatta sulla scorta di quel materiale. Ma il problema, ha sottolineato, “è che le persone non si stanno addestrando per capire come possono reinventarsi” in funzione di questi nuovi scenari, per compenetrarsi “in questo nuovo modo di creare, di pensare”. Perché tutte le fasi di produzione cinematografica, per come finora le abbiamo conosciute, non esisteranno più. È quindi “molto importante” che le persone che lavorano nel cinema “siano abbastanza aperte per capire come riadattarsi” e per fare il loro ingresso “in questi nuovi ruoli che stanno emergendo”.
Tilly Norwood sul "red carpet"
Per parte sua Alessandro Bertoglio ravvisa in Tilly Norwood una “ibridazione di tantissime personalità del mondo di Hollywood” e ritiene che la sua comparsa apra “veramente degli scenari impensabili” fino a qualche tempo fa: “si può fare praticamente un film direttamente sul computer e magari anche con attori con sembianze vere”. Il giornalista quindi, pur riconoscendo che “nuove professionalità nasceranno utilizzando l’IA”, ha espresso tutta una serie di perplessità. “Veramente non so come possa” essere realizzato un film “con soltanto attori digitali... “Dov’è l’anima? Dov’è il cuore”, si è chiesto. Senza poi contare la prospettiva di un ricorso all’IA per altri versanti di rilievo delle produzioni: dall’elaborazione delle sceneggiature, fino a scene e fondali creati digitalmente. “Io vedo molte difficoltà”, ha concluso, aggiungendo che “sarà arte, sicuramente, ma arte che va confinata in arte digitale”.