Nelle foreste di Bahia, in Brasile, restano le tracce di una pagina buia della storia, che risale a 150 anni fa. I resti di una fattoria dove lavoravano schiavi e di proprietà di coloni svizzeri, come mostra Obeny dos Santos nell’emissione Mise au Point della RTS.
Le autorità svizzere hanno sempre negato di aver preso parte alla schiavitù. Alcuni finanzieri e commercianti ne avrebbero tratto vantaggio, ma alle spalle della Confederazione. Lo storico Hans Fässler contesta però questa versione della storia e presenta un documento dell’Archivio federale svizzero.
La prima pagine del rapporto del Consiglio federale sugli schiavi in Brasile
Si tratta di un rapporto del Consiglio federale del 1864 per il Parlamento che riguarda gli svizzeri in Brasile che possedevano schiavi. Il Governo del tempo dimostra di essere bene informato sulla situazione, citando anche il prezzo di uno schiavo, tra i 4 e i 6’000 franchi. Un rapporto di grande importanza per la storia coloniale svizzera, secondo Fässler. “Per la prima volta la questione della schiavitù appariva al Parlamento svizzero e nel rapporto - sottolinea lo storico - il Consiglio federale ammette che ci sono svizzeri, proprietari di piantagioni, commercianti ma anche artigiani, che possiedono degli schiavi”.
Il rapporto era in risposta a una mozione di Wilhelm Joos, medico e consigliere nazionale di Sciaffusa, che aveva visitato le colonie svizzere di Bahia. Il politico, secondo Fässler, sarebbe rimasto scioccato dalla realtà della schiavitù nella regione e la prima mozione che ha depositato al Consiglio nazionale chiedeva misure penali nei confronti degli svizzeri proprietari di schiavi in Brasile.
Tracce ancora vive in Brasile
Nel piccolo villaggio di Helvecia, a sud di Bahia, si possono ancora trovare tracce dell’epoca. Nella regione c’erano piantagioni di cacao e caffè in cui lavoravano schiavi. “Ce n’erano circa 2’000, erano la maggioranza. È il motivo per cui oggi al Helvecia il 95% della popolazione è nera” spiega Maria Aparecida Dos Santos, che abita nel paese. I suoi antenati sono stati deportati dall’Angola, prima di essere venduti ai coloni svizzeri. Gli schiavi, racconta, vivevano ammassati una grande stalla in condizioni orribili, sottoposti a violenze di ogni tipo. È una storia molto dolorosa che molti cercano di dimenticare, secondo la donna, con il rischio che ci si dimentichi di quanto sia accaduto in questo periodo buio.
“Nessun crimine,” per le autorità dell’epoca
Gli svizzeri proprietari di schiavi non sono mai stati impensieriti dalle autorità elvetiche. Anzi, il Consiglio federale dell’epoca prende le difese dei coloni. “Il Governo - mostra Fässler nel rapporto - afferma che la schiavitù e normale e vantaggiosa per questi svizzeri e che non li si può privare di una proprietà acquisita legalmente”.
Lavoro dall’alba al tramonto
L'entrata della Fazenda Vitoria, oggi abbandonata
A pochi chilometri da Ilheus, si trova la Fazenda Vitoria, che era una delle più grandi della regione, dove circa 200 schiavi coltivavano canna da zucchero. La fattoria oggi è abbandonata e l’accesso è vietato. Da più di 40 anni, Roberto Carlos Rodriguez documenta la storia dell’azienda, dove i suoi antenati lavoravano come schiavi, e dei proprietari svizzeri.
“Fernando von Steiger era il secondo più grande proprietario nella regione di schiavi africani, costretti a lavorare dall’alba al tramonto” racconta Rodriguez. La sveglia era alle 5 e, dopo il saluto al padrone, cominciavano a lavorare per smettere solo al calar del sole. In questa come in altre fattorie, gli schiavi avevano vita breve: la speranza di vita di uno schiavo in Brasile era di 7 anni, spiega Rodriguez.
Per quanto riguarda il coinvolgimento delle autorità svizzere, l’uomo sottolinea che i proprietari, Gabriel Mai e Fernando von Steiger, finanziati da imprese svizzere. “È noto che il Governo svizzero dell’epoca ha investito nella schiavitù attraverso queste imprese - afferma Rodriguez - e dire che la Svizzera non è stata coinvolta nella schiavitù e come dire che oggi il sole non è sorto”.
La reazione odierna
La consigliera nazionale Samira Marti nel 2022 ha depositato un’interpellanza che chiede al Consiglio federale di prendere posizione sul rapporto del 1864. È l’ottava interpellanza in una ventina d’anni e la risposta del Governo non cambia: le autorità federali hanno agito conformemente alle norme degli anni 1860.
La politica ritiene in qualche modo scandaloso che il Consiglio federale continui a dire che si trattava solo dello spirito dei tempi e che lo Stato non era coinvolto nella schiavitù e chiede che il Governo riveda la sua posizione su questa pagina della storia. Autorità federali che hanno respinto le richieste di intervista da parte di Mise au Point.
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Mosè Bertoni. L’Uomo e la realtà
RSI Info 14.03.1985, 17:14