Il Palazzo delle Nazioni di Ginevra sarà teatro d’intensi negoziati che potrebbero sfociare in un accordo storico per porre fine all’inquinamento da plastica a livello globale. Dal 5 al 14 agosto, 170 delegazioni da tutto il mondo si riuniranno nella città di Calvino per finalizzare questo testo inedito e giuridicamente vincolante.
Tuttavia, diversi dossier spinosi dovranno essere risolti prima che il trattato venga firmato, rileva swissinfo.ch.
Ogni anno vengono prodotte oltre 400 milioni di tonnellate di plastica, metà delle quali per uso unico. Meno del 10% di questi rifiuti viene riciclato. Il resto si accumula nelle discariche, nel terreno, nei mari o si decompone in microplastiche che contaminano gli ecosistemi e si infiltrano persino nel sangue umano.
La produzione mondiale di plastica è raddoppiata in 20 anni e potrebbe triplicare entro il 2060, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), alimentando un inquinamento le cui conseguenze sanitarie e ambientali sono ancora largamente sconosciute.
I negoziati dell’ultima chance
In risposta, l’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente ha adottato nel 2022 una risoluzione storica per elaborare un trattato internazionale giuridicamente vincolante contro l’inquinamento da plastica. Questo testo mira a coprire l’intero ciclo di vita di questo materiale, frenandone la produzione e migliorando la gestione dei rifiuti.

Ma il cammino verso un accordo è irto d’ostacoli. Nel dicembre 2024, durante quelli che dovevano essere i negoziati finali a Busan, in Corea del Sud, un blocco di Paesi produttori di petrolio, tra cui Arabia Saudita, Russia e Iran, si è opposto a qualsiasi limitazione della produzione, provocando un fallimento clamoroso. Il round di Ginevra potrebbe essere l’ultima possibilità per giungere a un’intesa.
https://rsi.cue.rsi.ch/info/mondo/Inquinamento-da-plastica-negoziati-falliti--2403124.html
Restano delle tensioni
“La riduzione della produzione è il dossier più importante, ma anche il più difficile da negoziare”, spiega Giulia Carlini, del Centro internazionale per il diritto ambientale (CIEL), che partecipa alle trattative come osservatrice. Questo tema sensibile oppone due campi in un braccio di ferro che ricorda i negoziati sul clima.
Da un lato, una coalizione ambiziosa guidata da Norvegia e Ruanda, e della quale fa parte anche la Svizzera, chiede un obiettivo vincolante di riduzione della produzione entro il 2040, in conformità con il mandato dell’ONU, che copre tutto il ciclo di vita della plastica, dalla fabbricazione allo smaltimento.
Dall’altro lato, Paesi produttori di petrolio e plastica, come appunto Arabia Saudita, Russia, Iran e Cina, vogliono limitare il trattato alla gestione dei rifiuti, senza restrizioni alla produzione. “Senza ridurre la produzione, sarà impossibile eliminare l’inquinamento”, avverte Carlini.
L’idea è di fissare un tetto mondiale alla produzione di plastica, per poi ridurla progressivamente, limitando al contempo le sostanze tossiche utilizzate nella fabbricazione. “Oltre 16’000 prodotti chimici sono impiegati nella plastica, ma si ignora la pericolosità di oltre il 60% di essi”, sottolinea la giurista.
https://rsi.cue.rsi.ch/info/dialogo/Nella-plastica-pi%C3%B9-sostanze-nocive-di-quanto-si-pensasse--2977832.html
Gli altri dossier chiave sono il miglioramento della progettazione dei prodotti per facilitarne il riciclo, il finanziamento delle misure nei paesi del Sud, e il passaggio a una presa di decisione tramite voto anziché per consenso. “Senza meccanismo di voto, si potrebbe arrivare all’ultimo giorno a Ginevra con un testo efficace, ma con uno Stato che blocca tutto il processo”, mette in guardia Giulia Carlini.
La forza delle lobby
I negoziati si svolgono sotto lo sguardo attento dell’industria. A Busan, circa 220 lobbisti delle industrie fossili e chimiche hanno partecipato ai negoziati. Si trattava della delegazione più numerosa, secondo le stime del CIEL. “A ogni sessione, il numero di lobbisti dell’industria dei combustibili fossili e della chimica aumenta”, osserva Giulia Carlini. “È un ostacolo importante se si vuole raggiungere un trattato ambizioso”.
Per evitare un blocco, alcuni propongono un obiettivo globale di riduzione della produzione e del consumo, rimandando i dettagli dell’attuazione agli allegati, più facilmente modificabili. “Il rischio è che alcuni Stati rifiutino di ratificare il trattato se lo giudicano troppo restrittivo”, sottolinea.
La Svizzera, inquinante ma ambiziosa
Secondo uno studio di Science Advances, la Svizzera è il secondo maggior produttore di rifiuti plastici pro capite in Europa. Tuttavia, s’impegna per un trattato ambizioso. “La delegazione elvetica difenderà un trattato efficace con disposizioni vincolanti a livello internazionale, su tutto il ciclo di vita della plastica”, afferma Felix Wertli, ambasciatore a capo della divisione Affari internazionali dell’Ufficio federale dell’ambiente.
Tra le priorità di Berna figurano la riduzione sostenibile della produzione e del consumo di plastica, inclusa la limitazione di quella monouso, la restrizione delle sostanze chimiche potenzialmente pericolose, una maggiore trasparenza nella catena del valore e una migliore progettazione dei prodotti.
Finora, diverse iniziative in tal senso sono state respinte dal Consiglio federale, che ha invocato la “libertà economica”. Ma la situazione potrebbe cambiare: nuove basi legali sono state introdotte a gennaio nella legge sulla protezione dell’ambiente per rafforzare l’economia circolare, inclusa quella dei materiali plastici. Sono in consultazione anche misure per migliorare il riciclo e vietare alcune microplastiche.
Una questione di salute pubblica
A Ginevra, le discussioni sul futuro trattato sono iniziate ben prima dell’apertura ufficiale dei negoziati. Da diversi mesi, persone esperte di salute e diritti umani si mobilitano affinché il trattato tenga conto degli impatti della plastica in questi ambiti.
L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) giocherà un ruolo chiave in queste discussioni: “Questo trattato è una questione fondamentale di salute pubblica. La salute umana e quella dell’ambiente sono intrinsecamente legate”, insiste l’organizzazione.
Alcuni additivi e sostanze chimiche presenti nella plastica possono alterare il sistema ormonale, influenzare la riproduzione o aumentare il rischio di cancro. Sarebbero anche associati a malattie croniche come diabete, obesità, malattie cardiovascolari, oltre a disturbi respiratori, digestivi e neurologici.
Anche il settore sanitario dovrà evolvere: genera quasi 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici all’anno, principalmente da dispositivi monouso. “Molti ospedali adottano già soluzioni per ridurre il loro impatto plastico. Questo trattato può favorire tali iniziative”, stima l’OMS.
Includere i più vulnerabili
Il riconoscimento dei diritti umani, in particolare il diritto a un ambiente sano, è una linea rossa per diversi esperti ed esperte “L’inquinamento da plastica colpisce in modo sproporzionato i bambini, i lavoratori esposti a questi prodotti, nonché le comunità vicine ai siti industriali, inclusi i popoli indigeni”, sottolinea l’OMS.
Durante i negoziati a Busan, rappresentanti indigeni hanno denunciato di non essere stati sufficientemente inclusi nelle decisioni che li riguardano direttamente. “È un punto da monitorare attentamente durante le prossime discussioni a Ginevra”, avverte Giulia Carlini. È fiduciosa che i colloqui porteranno a un’intesa? “Meglio prendersi il tempo per adottare un trattato ambizioso, che ripensi i nostri sistemi di produzione e consumo, piuttosto che un testo debole e privo di efficacia”.
Tupperware e plastiche (6./10)
Alphaville: le serie 28.07.2025, 12:30
Contenuto audio