La Svizzera figura tra i cinque Paesi più importanti al mondo per il mercato dell’arte. È quindi particolarmente esposta all’arrivo di beni provenienti dal traffico illegale. Secondo i dati dell’Ufficio federale della cultura (UFC), negli ultimi cinque anni le autorità di perseguimento penale elvetiche hanno confiscato 652 beni culturali. Nel deposito situato nei sotterranei dell’UFC a Berna, sono conservati quasi 900 di questi oggetti, riposti in scatole di cartone e di legno.
Degli oggetti che provengono spesso da Paesi in crisi o in guerra, dove la sicurezza dei musei e dei siti archeologici non può più essere garantita, spalancando la porta ai saccheggi.
“I beni culturali sono ancora molto ricercati sul mercato dell’arte, quindi è possibile guadagnarci”, spiega Fabienne Baraga, responsabile del servizio che si occupa del trasferimento internazionale dei beni culturali presso l’UFC. Qualche anno fa, ad esempio, l’autoproclamato Stato islamico saccheggiava le zone sotto il suo controllo per finanziare le proprie attività. “E ci sono anche motivi politici, perché con atti del genere si possono cancellare culture”, aggiunge.
Il commercio illegale di beni culturali in Svizzera (La Matinale, RTS, 18.12.2025)
Tra i 39 beni culturali sequestrati quest’anno dalle autorità penali, molti provengono da Siria, Egitto, Iraq e Yemen. Di solito, tra il saccheggio e la comparsa sul mercato internazionale passano diversi anni.
”Quindici, vent’anni dopo, i beni riappaiono sul mercato. Sono stati “ripuliti”, hanno circolato qua e là e finiscono per essere acquistati da collezionisti che ignorano la loro provenienza”, riassume l’avvocato Marc-André Renold, titolare della Cattedra UNESCO in diritto internazionale per la protezione dei beni culturali. “Lo constatiamo anche in Svizzera”.
Inoltre, dietro queste reti si celano strutture “estremamente professionalizzate, così come la criminalità organizzata. […] Più l’oggetto è importante, più tempo passa tra il furto e la vendita. Questo permette di creare un pedigree per l’oggetto e aumenta le possibilità di riuscire a venderlo”, spiega Fabienne Baraga.
Una stele dalla Siria alla Svizzera
Un esempio è una stele siriana vecchia di quasi tre millenni e del peso di oltre 800 chili, recentemente trasferita nel deposito dell’UFC. Rappresenta la parte inferiore del corpo del re assiro Adad-Nerari III, che regnò tra l’810 e il 783 a.C., e riporta iscrizioni che minacciano di sterilità chiunque la sposti dal suo luogo d’origine.
Il reperto è stato saccheggiato più di 25 anni fa nel sito di Tell Sheikh Hamad, in Siria. Successivamente ha attraversato il Mediterraneo prima di arrivare in Svizzera.
Il viaggio della stele (19h30, RTS, 18.12.2025)
Nel 2014, mentre il suo proprietario, un mercante d’arte ginevrino, tenta di venderla all’asta a Londra, le autorità penali la sequestrano. Viene avviata una procedura che dimostra l’origine illecita della stele. Il caso arriva fino al Tribunale federale, che ne decide il rimpatrio.
L’UFC sta ora lavorando a questo trasferimento, in coordinamento con le autorità siriane. Per il momento, la data del ritorno non è ancora stata fissata.
La parte superiore della stele, scoperta nel 1870 durante uno scavo considerato legale, è invece conservata al British Museum di Londra.
I sequestri restano numerosi
Anche se oggi non è ancora il caso, bisogna aspettarsi che tra qualche anno in Svizzera arrivino beni culturali provenienti da Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Ucraina o Striscia di Gaza, per esempio. Infatti, nonostante la situazione sia molto migliorata dall’entrata in vigore di una nuova legge vent’anni fa, secondo l’UFC le dogane continuano comunque a sequestrare molti oggetti di origine illecita.
La Legge federale sul trasferimento internazionale dei beni culturali è entrata in vigore nel 2005, e prima “non c’erano regole specifiche sul trasferimento dei beni culturali”, rileva Fabienne Baraga. “La Svizzera ha avuto un ruolo importante come snodo del traffico illecito almeno fino all’inizio degli anni 2000”, conferma l’avvocato Renold. Molti degli oggetti che vengono sequestrati ancora oggi sono entrati nel Paese prima del rafforzamento della nuova legge. E Renold ritiene che i porti franchi possano ancora contenere “tesori sconosciuti e forse di provenienza illecita”.
La Svizzera, attraverso l’UFC, è impegnata anche nella prevenzione dei saccheggi, così come l’Alleanza internazionale per la protezione del patrimonio (ALIPH), i cui fondi sostengono da sette anni progetti nelle regioni a rischio. L’ONG è attualmente attiva in 64 Paesi e supporta 575 progetti. “Facciamo l’inventario delle collezioni museali e rafforziamo la sicurezza delle raccolte. Bisogna in particolare rinforzare porte e finestre. Può sembrare banale, ma è determinante”, spiega il direttore esecutivo Valéry Freeland. “Lavoriamo anche alla protezione degli artefatti nei siti archeologici, ad esempio installando recinzioni e sistemi di videosorveglianza”.
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