La storia del celebre marchio Bally ha radici lontane. Tutto comincia con Franz Ulrich Bally, che nel 1765 emigra dal Vorarlberg in Svizzera. Non sa né leggere né scrivere, ma trova lavoro come muratore presso un produttore di nastri di seta ad Aarau. In breve tempo, entra lui stesso nel commercio dei nastri e si stabilisce a Schönenwerd, nel Canton Soletta.
È uno dei suoi figli ad avere un’intuizione decisiva: intrecciare gomma naturale vulcanizzata nei nastri, rendendoli elastici. Nascono così prodotti nuovi e funzionali, come reggicalze e bretelle, che diventano un successo commerciale.
Bally, storia di un marchio globale (SRF 4 News, 27.10.2025)
Il vantaggio della fascia elastica
Un discendente della terza generazione, Carl Franz Bally, ha un’altra intuizione: le scarpe alla caviglia possono essere dotate di una fascia elastica, per infilarle e toglierle più facilmente, senza lacci né bottoni. Nel 1851 fa realizzare un prototipo da un calzolaio e tre anni dopo costruisce una fabbrica.
Un esempio tipico della storia economica svizzera, secondo Philipp Abegg, che insieme a Martin Matter ha documentato la storia dell’azienda. “Già a metà del XIX secolo Bally ha potuto beneficiare di un contesto politico favorevole e della possibilità di reclutare manodopera a basso costo”, sottolinea Abegg.
Nel 1855, l’imprenditore istituisce una cassa malati per il personale, e tre anni dopo fa costruire un quartiere residenziale per i dipendenti. Ben presto l’azienda si espande all’estero. Intorno al 1900, Bally conta 7’000 dipendenti, tra cui molte donne. La maggior parte lavora per turni di dieci ore al giorno, svolgendo mansioni monotone a cottimo.

Verso il mercato globale
I primi modelli Bally sono scarpe solide e convenienti per l’uso quotidiano, e non portano alcun marchioa etichetta aziendale. Solo dopo la Prima guerra mondiale viene lanciato il marchio, accompagnato da campagne pubblicitarie con manifesti, vetrine e negozi eleganti.
Questo marketing contrasta le crisi di vendita, come quella degli anni Trenta. In quel periodo, secondo Abegg, ai “signori Bally” è utile anche l’attività di lobbying a Palazzo federale: “Riuscirono a far sì che il Consiglio federale emanasse un divieto, impedendo l’apertura di nuove fabbriche e negozi di scarpe. Si trattava di una misura protezionistica diretta contro Bata”.
Poco dopo, però, nel 1938, l’azienda stessa finisce sotto pressione: con l’“Anschluss” dell’Austria al Reich tedesco, Bally adotta le direttive nazionalsocialiste. La società rileva, tramite la sua filiale di Vienna, le quote che appartenevano a un socio ebreo e licenzia il personale ebraico.
L’economia di guerra
Per Philipp Abegg, presidente della Fondazione Ballyana, si tratta di un “capitolo oscuro” nella storia dell’azienda: “Lo stabilimento di Vienna fu arianizzato. Durante il periodo nazista e la Seconda guerra mondiale, Bally Vienna lavorò per il mercato tedesco e si convertì completamente all’economia di guerra”. Un periodo ricostruito nel dettaglio alla fine degli anni ’90 dalla Commissione Bergier.

Dipendenti Bally, c'è il piano sociale
Il Quotidiano 24.09.2025, 19:00








