Quali conseguenze avranno per la Svizzera i dazi al 100% imposti da Donald Trump alle importazioni di prodotti farmaceutici a partire dal 1° ottobre? I medicinali erano fra le poche deroghe della prima ondata di tariffe annunciata il 31 luglio, quando era stato imposto alle merci elvetiche un dazio supplementare del 39%, un passo di cui il Consiglio federale si era rammaricato. Se la reazione della borsa è indicativa, questa volta non sembra esserci molto da temere per i colossi elvetici del settore, come Novartis e Roche, i cui titoli sono risultati poco mossi nella mattinata di contrattazioni. Certo i dettagli mancano ancora e quindi permane quindi una notevole incertezza fino alla pubblicazione di documenti ufficiali. Siamo fermi al momento a quanto il presidente statunitense ha scritto su Truth, che saranno toccati i prodotti di marca o brevettati e saranno esentate quelle aziende che stanno costruendo impianti di produzione negli Stati Uniti.
Sotto questo punto di vista, le “big pharma” elvetiche dovrebbero uscire indenni: sono già presenti oltre Atlantico, su quello che è il principale mercato mondiale, e nei mesi scorsi avevano anticipato le intenzioni della Casa Bianca annunciando importanti investimenti: Roche 50 miliardi di dollari e Novartis 23 nei prossimi 5 anni. Roche a fine agosto ha già inaugurato un sito produttivo in North Carolina. Novartis ha fatto sapere che ritiene di non subire nessun impatto da questa novità. Anche Lonza, per esempio, è già attiva negli Stati Uniti. Tutto il comparto dei generici - dove spicca il gigante Sandoz - dovrebbe inoltre essere esentato. Meno confortevole dovrebbe essere la posizione di Galderma, specializzata in medicina estetica e in prodotti di dermatologia, che produce solo una parte dei suoi trattamenti negli Stati Uniti. Non a caso il suo è uno dei pochi titoli in perdita venerdì mattina.
Il Dipartimento federale dell’economia ha scritto alla RSI che prende nota dell’annuncio e che - con altri dipartimenti e ambienti interessati - analizzerà i potenziali effetti.
Conseguenze difficili da valutare per il settore farmaceutico ticinese
Non è Basilea, ma anche il Ticino ha un suo settore farmaceutico, che vende anche oltre Atlantico. Interpellato dalla RSI, Piero Poli, presidente di Farma Industria Ticino, è cauto: “A oggi non ci sono notizie ufficiali”, ha dichiarato. Nel cantone, precisa, “c’è una filiera che fa sia generici che farmaci di marca e brevettati”. Ma per capire quale potrebbe essere l’impatto effettivo, “dovremmo guardare quali sono le esportazioni, ma i dati vanno guardati in virtù di una definizione certa”.

RG 12.30 del 26.09.2025 L’intervista di Marzio Minoli a Piero Poli
RSI Info 26.09.2025, 13:02
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Meglio quindi “attendere un decreto che dia delle certezze”. Poli non è in grado nemmeno di dire quali aziende ticinesi potrebbero, eventualmente, delocalizzare una parte della produzione per sfuggire ai dazi, ma ricorda che “se metto oggi la prima pietra di uno stabilimento negli Stati Uniti, non sarò in grado di produrvi farmaci prima di quattro anni”.
Un quarto delle esportazioni svizzere di farmaci va negli Stati Uniti
Certo, il settore farmaceutico è di vitale importanza per l’economia elvetica, in particolare di quella orientata verso l’estero. Produce mediamente il 7% del PIL secondo la Confederazione, il 5,8% nel 2024 stando ai dati dell’associazione di categoria Interpharma. Dà lavoro direttamente o indirettamente a 250’000 persone. Da solo ha costituito nel 2024 oltre il 35% delle esportazioni, per un totale (senza la chimica) di circa 100 miliardi di franchi su 282 complessivi.
E gli Stati Uniti sono la principale destinazione di queste vendite: da soli ne assorbono un po’ più di un quarto, a fronte del 46% dell’intera Unione Europea (la Germania, il secondo mercato estero per importanza, vale il 12%).
Nel primo semestre del 2025, dei 31,8 miliardi di franchi di merci inviati negli Stati Uniti, 21,8 erano di prodotti chimico-farmaceutici, secondo le statistiche dell’Ufficio federale della dogana e della sicurezza dei confini.
Gli Stati Uniti sono anche un mercato dove le maggiori imprese del settore realizzano margini di guadagno importanti. I prezzi infatti sono particolarmente elevati. Accanto ad attirare la produzione su suolo americano, Trump ha già detto infatti di voler far calare i costi a carico della collettività.
Pressione sui prezzi
Più dei dazi, quindi, le industrie farmaceutiche svizzere temono la pressione sui prezzi. Il CEO di Novartis ha fatto notizia, nei giorni scorsi, dichiarando che sono i pazienti statunitensi a pagare di fatto gran parte delle innovazioni. E ha messo le mani avanti di fronte alla possibilità di dover ridurre i prezzi sul principale mercato mondiale: in quel caso la fattura dovrebbe salire altrove, anche in Svizzera, dove - parole sue - “i farmaci costano troppo poco”.

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I rappresentanti del settore hanno avuto lunedì scorso un incontro con i consiglieri federali Guy Parmelin ed Elisabeth Baume-Schneider, definito “costruttivo” ma dal quale poco è trapelato.