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Come le mafie si muovono nell’era digitale

Presentato all’ONU uno studio sul modo in cui mafiosi e “mafiofili” usano i social media. Il rapporto include un’analisi del fenomeno in Svizzera

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La mafia ai tempi del social

Prima Ora 22.10.2025, 18:00

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Di: Francesco Lepori 

La scorsa settimana, nella sede delle Nazioni Unite di New York è stato presentato lo studio intitolato “Le mafie nell’era digitale – Focus TikTok”, promosso dalla Fondazione Magna Grecia e curato dal professor Marcello Ravveduto, dell’Università di Salerno. Il rapporto – il secondo, dopo quello pubblicato nel 2023 – esamina l’uso che le mafie italiane fanno dei social media, considerati alla stregua di un qualsiasi altro territorio di conquista. Uno spazio che sfruttano per affermare potere e raccogliere consensi, soprattutto attraverso l’ostentazione del lusso.

Abiti firmati, auto sportive e locali esclusivi sono i canoni di un’estetica criminale che finisce per attrarre pure chi, con le cosche, non ha alcun legame. Si tratta dei cosiddetti “mafiofili”. Tra loro molti giovani, che condividendo e alimentando i contenuti della “mafiosfera” contribuiscono a banalizzare l’illegalità (spesso senza nemmeno rendersene conto).

A queste dinamiche non è estranea la Svizzera, alla quale la ricerca dedica una scheda. Anche chi si muove nel nostro Paese si appoggia ai social per “vetrinizzare” il brand individuale o del clan di appartenenza. Si va dalle crasse manifestazioni di potenza a coloro che, al contrario, preferiscono ricorrere al proprio profilo per mimetizzarsi ancora di più nella comunità di accoglienza.  

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Il professore Marcello Ravveduto, responsabile del rapporto, e il giornalista della RSI Francesco Lepori - co-autore dello studio - a New York

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Né mancano i “mafiofili”. Come il 29enne del Locarnese arrestato in marzo a Tenerife per traffico di droga. Lui e un giovane del Bellinzonese erano amici di uno noto rapper italiano, con cui amavano ritrarsi sfoggiando muscoli, vestiti griffati, bottiglie di champagne e location esclusive. Le immagini postate sono un inno allo sfarzo figlio del guadagno facile.

Nella “mafiosfera” sfilano insomma messaggi accattivanti, replicati dall’algoritmo su piattaforme digitali di gran lunga più potenti del tradizionale lavoro di sensibilizzazione che viene svolto nelle scuole o con eventi pubblici. Oggi la risposta va quindi data sullo stesso terreno: i social network. Solo così sarà possibile diffondere una contro-narrazione capace di opporsi, in maniera efficace, allo strapotere di mafiosi e “mafiofili”.

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Il rapporto presentato alle Nazioni Unite

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