Le testimonianze

Gaza, “non abbiamo bisogno di Hamas”

Rabbia, stanchezza e dissenso contro il movimento islamista, ecco cosa emerge dalle voci raccolte dalla RSI nella Striscia

  • Oggi, 16:47
  • 2 ore fa
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Donne palestinesi hanno appena ritirato gli "aiuti", un misero sacco di cipolle

  • © Massimo Piccoli - RSI
Di: Emiliano Bos (giornalista), Massimo Piccoli (fotografo e videomaker), inviati RSI in Israele e Cisgiordania

“Abbiamo enormi bisogni dopo aver subito l’umiliazione di Hamas. Ora è una gioia pura, grande, non solo per me, ma per tutti…che Hamas non ci sia più… è finito, finito…”. Questa mamma di tre figli ci viene a cercare, ha visto microfono e telecamera della RSI, ci raggiunge a passo svelto, vuole far sentire la sua voce. Si chiama Palestina, un nome che porta dentro la sofferenza di questi due anni di attacchi israeliani contro i civili. Ma anche anni di “umiliazioni” come le chiama lei, subite sotto il regime duro di Hamas. La incontriamo alla periferia di Rafah, in uno dei siti di distribuzione della controversa “Gaza Humanitarian Foundation”. La GHF è una società privata statunitense vicina ai cristiani evangelici, a cui Israele nei mesi scorsi - con il pieno sostegno dell’amministrazione Trump - aveva “appaltato” parte della distribuzione di cibo sottraendola all’ONU.

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Il reportage da Gaza di Emiliano Bos

Telegiornale 10.10.2025, 20:00

“Ora basta”

Nemmeno queste due adolescenti esitano a esprimere il proprio dissenso verso il movimento islamista. Quando chiedo loro come sarà il futuro “con o senza Hamas”, la risposta arriva all’unisono: “No, no Hamas. Basta, è finito”, rispondono convinte. Attendono in mezzo a una larghissima folla di sole donne il proprio turno per ritirare un sacco di cipolle o patate. Invece dei pacchi con olio, sale, pasta e legumi, oggi la GHF distribuisce questi vegetali, smistati con velocità dal personale palestinese sotto l’occhio - e il mirino - di decine di contractor americani pesantemente armati.

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Profughe palestinesi in coda per ricevere il poco cibo disponibile, Striscia di Gaza

  • © Massimo Piccoli - RSI

“Non abbiamo bisogno di loro”

In realtà Hamas controlla tuttora buona parte del territorio, dove sono attive bande armate sostenute da Israele, proprio in funzione anti-Hamas. Eppure tra donne e ragazze in coda per un sacco di cipolle, la sensazione è che il movimento islamista sia indebolito.

“Non abbiamo bisogno di Hamas”, interviene una signora, schiacciata nella stessa calca tra veli, hijab e sguardi incuriositi verso la troupe RSI, una delle rarissime presenze di media internazionali nella Striscia. Perché?, le chiedo. “Perché Hamas ci ha cacciato dalle nostre case…hanno distrutto il nostro paese, le nostre abitazioni”. E poi i lutti che hanno travolto ogni famiglia residente a Gaza: bombe e missili che gli israeliani hanno sganciato ininterrottamente per due anni – a parte la fragile tregua a inizio anno – in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023. Per questa signora però la responsabilità è anche di Hamas: “Ci hanno lasciato senza padri, madri, figli…quello che hanno fatto è terrorismo. No, di loro non abbiamo bisogno”. Parole coraggiose, non certo un sondaggio statistico, ma l’indicatore di un dissenso difficile da misurare ma comunque presente.

Dissenso non tollerato, esecuzioni pubbliche

Hamas il dissenso non l’ha mai tollerato. Né verso gli avversari politici dopo la conquista politica della Striscia con le elezioni vinte nel 2006. Né verso chi ha osato esprimersi contro la violenza sistematica usata dall’ala militare e armata del movimento, che comunque governa l’enclave di Gaza da quasi vent’anni.

La conferma è arrivata dai video circolati negli ultimi due giorni: Hamas ha giustiziato almeno cinque palestinesi con l’accusa di collaborazionismo. Una pratica barbara ma non nuova per Hamas: spesso in passato le persone accusate di aver cooperato con Israele sono state uccise nella pubblica piazza davanti a folle di migliaia di residenti della Striscia.

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Profughi palestinesi - Striscia di Gaza

  • © Massimo Piccoli - RSI

Il grande interrogativo sul futuro dei due milioni di palestinesi riguarda proprio la gestione di questi 365 chilometri quadrati. Il piano di pace prevede una presenza internazionale con un graduale trasferimento di competenze all’Autorità Palestinese – una volta effettuate le “riforme” chieste dal Piano Trump - per la gestione dei servizi pubblici e delle municipalità. Hamas potrebbe avere un ruolo nella gestione della sicurezza, purché accetti in parte il disarmo. Dinamiche ancora nebulose e complesse, con la presenza di una forza multinazionale dei paesi mediatori a fare da garanti: Egitto in primis, ma anche Qatar e Turchia, con un comando americano di alcune centinaia di uomini all’esterno della Striscia.

GHF, verso la chiusura delle operazioni in Gaza?

Una presenza armata e molto ben organizzata che richiama quella di un compound militare americano esiste già. È la base operativa della GHF, appena all’esterno del valico di Kerem Shalom nel sud della Striscia al confine con l’Egitto. La RSI ha avuto un accesso esclusivo a questa struttura, da cui vengono coordinate le distribuzioni di aiuti sotto la supervisione degli addetti alla sicurezza, tutti veterani statunitensi con esperienze soprattutto in Afghanistan e Iraq.

Negli ultimi giorni sono circolate voci su una possibile chiusura della GHF a causa di mancanza di fondi. E poi il piano di pace di Trump assegna di nuovo un ruolo decisivo alle agenzie ONU nella gestione dell’assistenza sanitaria. Il dato di fatto è che i siti di distribuzione – come quello visitato dalla RSI la scorsa settimana – sono stati temporaneamente chiusi. “Un aggiustamento tattico” l’ha definito il direttore John Acree, giustificandolo con la concomitanza delle operazioni per il rilascio degli ostaggi israeliani (quelli vivi sono stati liberati tutti lunedì scorso).

La RSI ha appreso che sono in corso valutazioni da parte della GHF, che comunque opera attraverso due società sussidiarie – una per la logistica e una per la sicurezza armata - fondate entrambe da ex-ufficiali delle forze speciali USA. Nel caso di una dissoluzione della GHF, le operazioni potrebbero proseguire “con il sostegno del governo israeliano”. Si tratta di capire anche l’eventuale ruolo della “Samaritan’s Purse”, la “borsa dei Samaritani”: la gigantesca organizzazione umanitaria fondata oltre mezzo secolo fa dal pastore evangelico Billy Graham.

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La distruzione nella Striscia di Gaza dopo i bombardamenti israeliani

  • © Massimo Piccoli - RSI

“Guerra finita, ma non abbiamo un futuro”

Al sito di distribuzione della GHF ho visto decine di addetti palestinesi. Sono loro a interagire con le persone in attesa degli aiuti. Ma non possono farsi riprendere dalla telecamera, per paura della rappresaglia di Hamas. Uno degli addetti accetta di parlare, ma non può fornire pubblicamente la sua identità. Accettiamo l’anonimato: gli chiedo cosa si aspetta ora che i martellanti bombardamenti israeliani – dopo oltre 67mila morti – sono finiti.

Striscia di Gaza

Le fotografie di Massimo Piccoli

“Non mi aspetto nulla. Ho solo paura. Mi chiedo: cosa posso fare? Come posso ricostruire la mia casa, la mia vita… i miei figli non vanno a scuola da 2 anni... non hanno nulla… Mi domando quanto tempo ci vorrà… per ricostruire scuole, ospedali, case... Ma capisci cosa significa vivere tu e la tua famiglia in una tenda... per 2 anni? E adesso che la guerra è finita, non abbiamo speranza? Non vediamo un futuro? E tutto questo fa paura…”.

Vista da qui, Rafah è rasa al suolo. Letteralmente. Impensabile immaginare una sorta di “ritorno alla normalità”. Ammesso che sia possibile – ci vorranno tempi lunghissimi. “Non vedo alcuna soluzione, perché qualsiasi cosa in futuro necessita di più tempo prima di prendere forma” dice ancora il signore che non può mostrare il suo volto. “Qualsiasi ricostruzione richiederà tempo, molti anni prima che accada. Questo significa che resterò ancora per anni nelle tende, senza scuole, né ospedale né vita… non sto parlando di mesi o giorni… parliamo di anni. Ecco perché ho paura”.

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