Dopo oltre tre anni di conflitto la Russia continua ad esportare verso l’Unione Europea sia gas che petrolio e la spesa di idrocarburi fatta al Cremlino supera quella degli aiuti militari forniti all’Ucraina. Nel 2024 i paesi dell’UE hanno pagato a Mosca quasi 22 miliardi di euro, il sostegno militare a Kiev è rimasto al di sotto, trainato comunque dal primo supporter continentale, la Germania, che ha erogato da sola circa 7 miliardi di euro sotto forma di armamenti. I dati sono stati forniti nel rapporto sui tre anni dall’inizio dell’invasione dal Crea (Center for Research on Energy and Clean Air) che dal 2022 monitora l’export russo di idrocarburi e l’effetto delle sanzioni occidentali.
Al di là di comparazioni che possono comunque essere fuorvianti, il dato fondamentale è che il comparto energetico russo è stato solo parzialmente sanzionato da Bruxelles, colpito sì progressivamente nei vari pacchetti restrittivi, 17 in tutto dal 2022 in avanti, senza però produrre effetti concreti, cioè senza indurre Vladimir Putin a un cambiamento di strategia nella guerra in Ucraina. Anche a livello economico le sanzioni europee si sono dimostrate per lo più inefficaci, con esiti poco tangibili sul sistema russo, almeno sino ad ora. L’economia russa, prima in surriscaldamento trainata dalla guerra, rischia ora invece un rapido raffreddamento.
Le contromisure russe
Mosca per quel riguarda i settori di petrolio e gas ha preso ormai da tempo le contromisure: da una parte ha diversificato le vie di esportazione, cioè ha spostato gran parte del suo export verso Oriente, Cina, India, ma anche Turchia; dall’altra ha approfittato dei “buchi”, per così dire, lasciati dall’Unione Europea, in quello che avrebbe dovuto essere una sorta di cordone sanitario di isolamento, attuato per ridurre proprio le entrate nelle casse del Cremlino. Bruxelles ha bandito completamente l’import di petrolio russo via mare e ha ridotto la propria quota di import di gas dal 45 al 19% dall’inizio del conflitto, ma le maglie per aggirare le sanzioni sono rimaste relativamente larghe.
Oltre all’utilizzo di centinaia di petroliere della cosiddetta flotta fantasma, colpita solo recentemente e solo in parte dai provvedimenti dell’Unione, petrolio e gas russi arrivano ancora direttamente in Ungheria e Slovacchia, via oleodotti e gasdotti, mentre Mosca ha addirittura aumentato l’esportazione di gas naturale liquido, cioè via navi cisterna, verso Francia, Belgio e Spagna. La Francia lo rigira anche alla Germania. Nel settore del gas Bruxelles ha sanzionato solamente le riesportazioni di gas russo da porti europei verso paesi terzi, ma appunto non le importazioni dirette. Il risultato è che l’Unione Europea è a tutt’oggi il maggiore importatore di gas naturale liquido russo, davanti alla Cina e al Giappone.
La bilancia internazionale
Nel 2024 la Russia ha incassato in totale 242 miliardi di euro per l’export di idrocarburi, con solo una leggera flessione del 3% rispetto all’anno precedente. Le variazioni sono da attribuire anche alla diminuzione dei prezzi del petrolio sui mercati internazionali. Alcune misure dell’Unione Europea come quella dell’imposizione del price cap, del limite dei 60 dollari al barile per l’acquisto di greggio russo, si sono dimostrate per il momento inefficaci. Nonostante le sanzioni, le entrate russe nel terzo anno di guerra sono diminuite di appena l’8% rispetto all’anno precedente e dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina il Cremlino ha incassato complessivamente circa 847 miliardi di euro dalle esportazioni di combustibili fossili a livello globale. Se i paesi dell’UE hanno contribuito nel 2024 con 21,9 miliardi di euro per le importazioni russe di combustibili fossili, la riduzione del volume è stata di appena l’1%, e sono stati superati appunto così i 18,7 miliardi di euro di aiuti militari europei all’Ucraina.
Secondo il ministero delle Finanze di Mosca i proventi del bilancio russo derivanti dalla vendita di petrolio e gas sono diminuiti lo scorso mese di aprile di circa il 12% e il calo è stato attribuito alla diminuzione dei prezzi sui mercati. Le entrate sono diminuite del 10,3% su base annua nel periodo gennaio-aprile. Un calo prolungato del prezzo del petrolio, ben al di sotto del livello previsto nel bilancio, che si aggira sui 60-70 dollari, creerebbe sicuramente qualche grattacapo al Cremlino, che sino ad ora è riuscito a compensare parte delle perdite sul fronte occidentale con la diversificazione delle esportazioni tra l’est e il sud mondiale. Gazprom, colosso statale russo del gas, nel 2024 è tornato a segnare cifre positive (+14,8 miliardi di dollari) dopo tre anni di difficoltà, non comunque totalmente superate a livello strutturale; anche il gemello Rosneft (petrolio) ha accresciuto il fatturato (+10,7% a 119,3 miliardi di dollari), registrando comunque un calo dell’utile netto (14,4%).

Ucraina: trattative e attacchi
Telegiornale 30.05.2025, 12:30