Il Tribunale di Châlons-en-Champagne, nella regione amministrativa francese di Grand Est, ha condannato tre persone per “tratta di esseri umani” nei vigneti dello Champagne. La sentenza mette in luce un vero e proprio sistema organizzato appositamente per sfruttare i lavoratori immigrati durante le vendemmie nella regione omonima.
I fatti risalgono all’autunno del 2023, quando degli ispettori del lavoro scoprirono in una maison di Champagne decine e decine di vendemmiatori in condizioni terribili, paragonabili a quelle dello schiavismo. Il tribunale francese ha deciso di punire i tre responsabili con pene detentive che vanno da una a quattro anni di carcere e con una multa di 20’000 euro.
Generalmente siamo abituati ad avere notizia di fenomeni simili nell’ambito di filiere più povere; perciò, associare questi fenomeni alla pregiata produzione dello Champagne potrebbe sorprendere. A non essere stato stupito da questa notizia è Marco Omizzolo, sociologo presso Eurispes (istituto di ricerca italiano) e docente alla Sapienza di Roma, intervistato da SEIDISERA.
Quanto è successo “è particolarmente inquietante”, ha spiegato il sociologo, perché “ci obbliga ad uscire dall’idea per cui lo sfruttamento appartiene soltanto a piccole aziende, in qualche modo arretrate, e lo colloca invece in una dimensione globale particolarmente ricca e particolarmente potente, dal punto di vista simbolico e dal punto di vista anche politico”.
In Italia le agromafie contano un volume di affari “secondo l’ultimo rapporto Agromafie dell’Eurispes, di ben 25,2 miliardi di euro”, ha osservato Omizzolo, e ci sono “circa 450’000 persone che vivono in condizioni di emarginazione e di sfruttamento soltanto nel settore primario”. Di questi 450’000, “circa 230’000 vivono condizioni para-schiavistiche”, ma “il fenomeno non è soltanto italiano o mediterraneo: è continentale”. In Europa “nel settore primario le persone sfruttate sono circa 1’600’000”, ovvero “una dimensione rilevantissima di persone, che non occasionalmente, ma sistematicamente, vengono gravemente sfruttate”.
La “produzione di qualità che rappresenta il made in France, in Italy o in Europe, è vocazionale”, ha rimarcato Omizzolo, spiegando che all’interno di ciò però “noi immaginiamo la trasparenza e la tracciabilità dal punto di vista ambientale, ma nascondiamo quella sociale, cioè condizioni di gravissimo sfruttamento”.