Sono tante le narrazioni che riguardano il mondo mediorientale. Fra questi un assurto che ritorna soprattutto in queste settimane, da quando è scoppiato il conflitto fra Israele e Hezbollah. E cioè il fatto che Israele è l’unica democrazia presente in Medio Oriente. È davvero così? Risponde a SEIDISERA Riccardo Redaelli, docente di geopolitica e cultura delle civiltà del Medio Oriente all’Università cattolica di Milano.
“Da un punto di vista non solo formale ma anche sostanziale direi di sì. Con la parziale eccezione della Turchia, Israele ha delle elezioni libere, non manipolate. Il sistema elettorale prevede una elezione senza grandi sbarramenti e senza maggioranze qualificate, quindi un proporzionale che rende impossibile per un solo partito controllare il Paese. Da questo punto di vista, una piena democrazia. Va anche detto però che Israele si è spostato molto a destra negli ultimi anni. Questo ultimo governo è considerato di ultra destra, visto che ne fanno parte sia i partiti religiosi sia i cosiddetti partiti dei coloni, cioè degli insediamenti in Cisgiordania, che sono illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Un’ultima cosa: è anche evidente, ed è preoccupante, un aumento di fenomeni di intolleranza, di razzismo, di xenofobia nei confronti della minoranza araba israeliana”.
A proposito di questa minoranza, che comunque sono sempre 2 milioni di cittadini, i loro diritti sarebbero garantiti dalla dichiarazione di indipendenza. Però qualche anno fa il Parlamento ha approvato questa legge che definisce Israele come la casa nazionale del popolo ebraico. Questo non limita fortemente ciò che si può definire democrazia?
“Sì, dal nostro punto di vista occidentale. Perché definire Israele un paese ebraico di fatto rende i cittadini non ebrei dei cittadini di seconda categoria: non fanno il militare… E c’è una crescente ostilità e diffidenza. Nella prassi di ogni giorno fenomeni di intolleranza non solo contro gli altri musulmani ma anche contro gli arabi cristiani sono troppo spesso tollerati dalle forze di polizia e incoraggiati dei movimenti più estremisti”.
Lei accennava alla Turchia, forse come l’unico Paese che comunque si potrebbe definire democratico nel Medio Oriente. Quindi cosa dire dei vicini di Israele?
“Il panorama è terribile e ci sono elezioni farsa in quasi tutti i Paesi, con forse l’eccezione del piccolo Kuwait dove il Parlamento spesso si confronta con la casa reale, con il governo, ma quando il confronto aumenta viene regolarmente sciolto. E poi c’è la Turchia. Storicamente dal secondo dopoguerra è stata a volte una dittatura militare, poi una democrazia parlamentare, ora una democrazia presidenziale dai connotati fortemente autoritari. Erdogan ha rivinto le elezioni senza brogli smaccati, come in altri Paesi mediorientali, ma è evidente che il suo potere è molto forte a tutti i livelli della comunicazione e nei confronti dei giudici, delle forze di sicurezza. E soprattutto usa metodi scorretti e del tutto illiberali, con alcuni tipi di opposizioni, soprattutto l’opposizione rappresentata dai curdi”.
Però, se facciamo un confronto tra Turchia e gli altri vicini di Israele, la Siria, il Libano la Giordania, l’Egitto, l’Arabia Saudita… in questi Paesi la democrazia è davvero un miraggio.
“Sono Paesi del tutto illiberali, tranne il Libano. Il Libano può essere definito come una cleptocrazia. E cioè i vari partiti confessionali, cristiani, sunniti, sciiti di fatto hanno portato alla rovina il Paese non perché non ci siano elezioni, ma perché il meccanismo impedisce un vero ricambio e non frena la corruzione che è dilagante. In più c’è la presenza di Hezbollah che è un movimento politico ma anche un movimento militare che combatte contro Israele e questo altera moltissimo”.
SEIDISERA del 20.11.23 - L’intervista di Manjula Bhatia a Riccardo Redaelli, docente presso l’Università Cattolica di Milano
RSI Info 20.11.2023, 19:44