Dopo il primo incontro di metà maggio a Istanbul, nel calendario negoziale tra Russia e Ucraina è previsto un secondo appuntamento in Turchia oggi, lunedì 2 giugno. Il formato dovrebbe essere analogo, con delegazioni non di primo livello e in ogni caso nessun faccia a faccia tra Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky. La fase delle trattative è appena agli inizi e l’unico risultato concreto uscito dal primo round è stato quello del più grande scambio di prigionieri dall’inizio del conflitto, con la liberazione di circa 1’000 soldati per parte. Intanto la guerra prosegue, incentrata da una parte sulla battaglia dei cieli, con i reciproci attacchi di droni, e dall’altra con le forze del Cremlino che premono soprattutto nel Donbass e tra le regioni di Sumy e di Kharkiv.
La posizione russa
In questa fase di approccio Mosca e Kiev sono ancora divise dalla prospettiva di fondo, per cui se la Russia è disposta a negoziare il cessate il fuoco nell’ambito di un accordo più ampio che contenga elementi politici, l’Ucraina chiede che la tregua come priorità assoluta per avviare le trattative per la pacificazione. Al momento pare che sia comunque Putin a dettare ritmi e contenuti, favorito dalla posizione sul terreno e dal quadro internazionale, con Donald Trump impegnato in un compito di mediazione che però non pare essere in cima agli interessi degli Stati Uniti e lo schieramento europeo frammentato tra la cosiddetta coalizione dei volenterosi, l’ala di chi segue comunque la linea di Bruxelles e chi invece vorrebbe abbandonarla.
Al secondo round di Istanbul, messo in calendario direttamente dal Cremlino, la Russia arriva dopo aver incassato il 17esimo pacchetto di sanzioni dall’Unione Europea, comminato proprio per aver ignorato l’ultimatum posto dai volenterosi (Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia) che chiedevano una tregua di trenta giorni prima di avviare i negoziati. Favorito dal parziale disimpegno statunitense, Putin ha annunciato la presentazione di un memorandum, che dovrebbe inquadrare il processo di pacificazione, prima nei contenuti che nella tempistica.
La tattica del salame
Le richieste del Cremlino riguardo all’Ucraina a grandi linee sono già state formulate da tempo, si va dal riconoscimento dei territori occupati alla neutralità dell’ex repubblica sovietica, dalla protezione della popolazione russofona al cambio di regime, mentre un altro elemento, semi-nuovo dato che questioni simili erano state già espresse alla fine del 2021, prima dell’inizio dell’invasione, riguarderebbe la domanda esplicita di un blocco dell’espansione della Nato in paesi come Moldova, Georgia e altre repubbliche ex sovietiche.
Nelle scorse settimane, in concomitanza ai rumors sul memorandum putiniano e ai suoi contenuti, sono anche cresciute le voci su una possibile offensiva russa nelle regioni nordorientali, tra Sumy e Kharkiv, dove la Russia avrebbe concentrato nuove forze. Non è la prima volta che ciò accade e nel contesto della guerra di logoramento è però improbabile assistere a rapidi sconvolgimenti del fronte: quello che è certo è che il Cremlino continua a mantenere l’iniziativa su tutta la linea del fronte e gli avanzamenti sono sì accompagnati da un grande spesa di risorse, ma costanti. È la tattica del salame, l’affettamento millimetrico del paese che l’Ucraina per varie ragioni non è comunque in grado di arrestare.
L’attesa di Kiev
Da questo punto di vista la posizione di Zelensky è complicata e il presidente ucraino, nonostante la retorica d’accompagnamento dei volenterosi, è costretto a giocare in difesa, attendendo le mosse dell’avversario. Le possibilità di controbattuta non paiono ampie, considerando il fatto che da una parte gli Stati Uniti hanno modificato la strategia e l’Unione europea non sembra né coesa né in grado di supplire all’eventuale distacco totale di Trump dalla scacchiera ucraina. Se il Cremlino vuole la capitolazione di Kiev, Zelensky è concentrato sull’impedire la resa incondizionata e impostare quella che viene definita pace giusta e duratura.
Il compito per il presidente ucraino è arduo e lo scenario peggiore sarebbe quello di un abbandono degli Stati Uniti non solo dalla funzione di mediazione, ma da quella di sponsor principale militare: al di là delle promesse dei volenterosi europei, i problemi di armamenti e mobilitazione dell’Ucraina riguardano il presente e il breve periodo, non il futuro decennale. È per questo che anche nei prossimi colloqui di Istanbul l’Ucraina avrà meno spazio di manovra di quanto non ne abbia al momento la Russia, che ha la doppia opzione di cercare di imporre la pace alle proprie condizioni o proseguire la guerra.

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SEIDISERA 30.05.2025, 18:00
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