La Svizzera si trova di fronte a una decisione delicata riguardo l’importazione di carne di pollo dagli Stati Uniti. In cambio di una riduzione dei dazi doganali dal 39% al 15%, infatti e come più volte ribadito in queste settimane, la Confederazione si è impegnata a importare 1’500 tonnellate all’anno di pollame americano. Tuttavia, questa carne potrebbe essere stata trattata con una soluzione a base di cloro dopo la macellazione, una pratica vietata in Svizzera e che molto sta facendo discutere le associazioni dei consumatori.
Lunedì, anche il Consiglio degli Stati discuterà una mozione che chiede di proibire l’importazione di questo tipo di pollame, noto come “pollo al cloro”. La questione solleva un dibattito tra apertura commerciale e protezione dei consumatori. Mathilde Crevoisier, consigliera agli Stati del PS/JU, sostiene il divieto ricordando che “fortunatamente le leggi svizzere in materia di sicurezza alimentare sono severe, al fine ad esempio di proteggere la salute della popolazione ma anche delle acque. È dunque importante non aggirare queste prescrizioni - dice - anche per non creare una concorrenza sleale nei confronti dei produttori elvetici, che invece devono rispettare le normative svizzere”.
Il governo, d’altra parte, considera l’importazione del pollo clorato come il minore dei mali. Guy Parmelin, capo del Dipartimento federale dell’economia, minimizza l’impatto ricordando che “produciamo 450’000 tonnellate di carne all’anno, ne importiamo 100’000. Abbiamo fatto concessioni per 3’000 tonnellate, di cui 1’500 di pollame. Si tratta - ribadisce- di nemmeno l’1%. Non si può affermare che sacrifichiamo l’agricoltura”.
Alcuni parlamentari ritengono che i consumatori possano fare scelte informate. Per il consigliere nazionale PLR Philippe Nantermod affinché non sia messo in vendita basta non acquistarlo. “Non credo proprio che i consumatori abbiano voglia di pollo al cloro - chiosa - se nessuno lo compra, nessuno lo importerà”. Tuttavia, Crevoisier mette in dubbio l’efficacia di questo approccio quando spiega che il concetto di trasparenza e di consumatrice o consumatore ben informato, nella realtà non è sempre valido. “Le etichette sono spesso molto piccole e non sempre scritte in tutte le lingue nazionali, visto che non è obbligatorio”.
Il Parlamento si trova ora di fronte a una scelta cruciale tra favorire l’apertura commerciale e garantire la protezione dei consumatori. La decisione avrà implicazioni significative non solo per il mercato alimentare svizzero, ma anche per le relazioni commerciali con gli Stati Uniti e per gli standard di sicurezza alimentare del paese.









