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Restare senza nulla ad Ein al-Beida

Una comunità palestinese sotto il costante attacco dei coloni - Il reportage

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Cisgiordania: le violenze in continuo aumento

SEIDISERA 23.05.2025, 18:00

  • RSI / NC
Di: Naima Chicherio, inviata RSI in Cisgiordania

A Zamil Daragmi resta un generatore, la carcassa di un’auto, un asino e qualche gallina. Una casa non ce l’ha più. Da poco più di una settimana vive sotto un telone di plastica sorretto da qualche palo di metallo. Ci stanno giusto due letti e una bozza di cucina. Nient’altro. Il divano e le potrone le ha messe ai piedi di un grande albero, che fa ombra anche alla tenda di suo fratello che è più o meno nelle stesse condizioni.

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Zamil Daragmi il divano e le potrone le ha messe ai piedi di un grande albero

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Nella proprietà di famiglia, sono arrivati i coloni israeliani con ruspe e soldati. Hanno demolito tutto senza neanche lasciargli il tempo di salvare i suoi oggetti più cari. “Non è la prima volta. Anche nel 2013 ci hanno distrutto la casa. Era nostra da generazioni”, dice Zamil, che cammina sui calcinacci e non riesce a smettere di dire cosa stava dove. “Qui c’era la sala, là c’era la mia stanza, ci ho messo anni a costuirle”. “Quanto arrabbiato sei?”, gli chiedo. Mi risponde che resterà qui perché non ha un altro posto dove andare e mi passa una tazzina di caffè nero come il suo volto e amaro come la sua espressione.

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L'asino rimasto a Zemil

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A Ein al-Beida, che si trova a nord-est di Nablus, a due chilometri al confine con la Giordania, tragedie come questa si verificano di continuo. “Quasi ogni giorno, mandano gruppi di giovani armati di sassi e coltelli per intimidirci. Un giorno tirano giù una casa, l’altro distruggono gli impianti di irrigazione. Ma ci privano anche del bestiame. Uccidono i nostri animali o dicono che hanno sconfinato nel loro territorio e che quindi se li possono tenere. Per molti di noi, sono l’unica fonte di sussistenza”, interviene Hussama, che lavora per il Municipio e riceve da parte dei suoi concittadini segnalazioni a raffica.

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Ein al-Beida, a due chilometri al confine con la Giordania

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I coloni tentano di distruggere questa comunità sotto ogni suo aspetto, da quelli sociali a quelli economici. “Hanno scelto questo villaggio perché è ricco d’acqua. Anni fa hanno scavato un pozzo per rifornire la città di Mehola, ma ci hanno prosciugato la sorgente che serviva i nostri agricoltori”. E gli effetti si vedono. In alcune zone, il mondo dei coloni israeliani e quello dei palestinesi - che qui vivono sotto occupazione dal 1967 - è diviso solo da una strada. Un lato è verde e rigoglioso e vi si coltiva di tutto. L’altro lo è molto meno o è addirittura arido.

“Non c’è solo il Governo israeliano a incoraggiarli o l’esercito a proteggerli. I coloni hanno anche il sostegno delle compagnie idriche ed elettriche private, che gli danno tutte le risorse necessarie e che possono estendere se riescono a mandarci via”, spiega Hussama che, sulla via del ritorno, sulla montagna, mi indica la casa di uno di loro. Il più noto e potente, secondo lui. Un uomo che tempo fa faceva il colono in un’altra zona, che è stato poi scelto per creare una nuova comunità qui, dove in assenza dell’Autorità Nazionale Palestinese, di forze di polizia, di diritti fondamentali, la proprietà è soggetta a leggi medievali.

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