La Romania torna al voto per eleggere il nuovo presidente dopo mesi turbolenti, cominciati alla fine dello scorso anno proprio con l’annullamento del primo turno delle elezioni, che ha innescato una caotica crisi politico-istituzionale e accresciuto le tensioni tra le varie fazioni dell’elettorato. Il 24 novembre 2024 la tornata elettorale era stata vinta a sorpresa dal candidato indipendente nazionalpopulista Calin Georgescu, davanti a Elena Lasconi, ex giornalista e leader del partito moderato USR (Unione Salvate la Romania), mentre fuori dai giochi ed escluso dal ballottaggio era finito il filogovernativo Marcel Ciolacu, premier e capo del PSD (Partito socialdemocratico), una delle formazioni, insieme con il PNL (Partito nazionalliberale) del presidente uscente Klaus Johannis, che ha sempre dominato la scena politica rumena.

Romania: vigilia elettorale
Telegiornale 02.05.2025, 20:05
Annullamento del voto e caos politico
Due giorni prima del ballottaggio, che doveva tenersi l’8 dicembre, la Corte costituzionale di Bucarest ha però invalidato il voto sulla base di un rapporto del CSAT, il Consiglio supremo di difesa nazionale, in sostanza i servizi segreti, secondo il quale Georgescu avrebbe finanziato illegalmente la campagna elettorale e approfittato delle interferenze di paesi terzi, la Russia, anche se non espressamente citata. Georgescu e Lasconi hanno definito la decisione della Corte un vero e colpo di stato, coordinato dai partiti del potere, PSD e PNL, per ribaltare il voto popolare. Alle elezioni parlamentari del primo dicembre, nel frattempo, il PSD è risultato il primo partito, davanti all’AUR (Alleanza per l’unione dei rumeni), formazione della destra nazionalista guidata da George Simion, il PNL e USR. Guidato da Ciolacu, il nuovo governo rumeno è oggi una sorta di coalizione di solidarietà nazionale tra socialdemoratici e nazionalliberali e RMDSZ, il partito della minoranza ungherese.
Partiti del potere e antisistema
In questo contesto, caratterizzato dalla crescente contrapposizione tra i partiti tradizionali da sempre al potere e le nuove formazioni antisistema, si è tenuta la campagna elettorale per la ripetizione del voto, che ha visto vari colpi di scena, dalle dimissioni anticipate di Johannis, che sarebbe dovuto rimanere in carica sino all’arrivo del successore, alla mossa di un tribunale di Ploiesti, che ha contestato a sua volta al decisione della Corte costituzionale di annullare il ballottaggio di dicembre, aumentando il caos istituzionale, ma non sortendo effetti. Calin Georgescu è comunque stato escluso dalla possibilità di partecipare alle nuove elezioni e il quadro che si presenta all’elettorato rumeno è da una parte frastagliato e dall’altra comunque diviso chiaramente tra il blocco formato da PSD, PNL e RMDSZ e il fronte populista.
Corsa aperta verso il ballottaggio
Dopo il fiasco di Ciolacu il 24 novembre, l’alleanza moderata ha schierato Crin Antonescu, ex presidente del PNL, che i sondaggi accreditano intorno al 20%, anche se la forbice è molto ampia, come per tutti; i favori della destra estremista sono per Simion, l’uomo di punta dell’AUR, che dopo l’esclusione forzata di Georgescu ha catalizzato il consenso degli elettori radicali, ma non solo, ed è dato in vantaggio su tutti, con circa il 30%. In gara è rimasta, senza troppe speranze di passare il turno, Elena Lasconi, che dovrebbe rimanere sotto il 10%, mentre le sorprese potrebbero venire da due candidati indipendenti, Victor Ponta e Nicusor Dan: il primo arriva dal PSD, è già stato primo ministro, è ritornato in pista spostandosi sul lato nazionalista e potrebbe arrivare al 20%; il secondo è l’attuale sindaco di Bucarest, è stato uno dei fondatori dell’USR, è considerato uno dei volti davvero alternativi nello spettro politico nazionale e potrebbe sfondare il 20%. Difficile dire chi tra tutti arriverà davvero al ballottaggio, considerando anche quello che è accaduto a novembre con i numeri finali che hanno sorpreso tutta la Romania e poi sono stati ribaltati a tavolino: l’elettorato rumeno è spaccato e il candidato filogovernativo rischia anche stavolta di soccombere davanti alla protesta populista e alla volontà di cambiamento.