analisi

Sanzioni contro la Russia, il guanto di velluto europeo

Al di là della retorica di von der Leyen, i dati dimostrano, ad esempio, che in aprile quasi la metà (47%) del petrolio russo è stata trasportata su petroliere battenti bandiere dei Paesi del G7+

  • Oggi, 05:44
  • 2 ore fa
Ursula von der Leyen ha ricordato i milioni di posti di lavoro creati dal commercio tra USA e UE negli ultimi 80 anni KEY.jpg

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen

  • Keystone
Di: Stefano Grazioli 

Mentre la settimana scorsa sono state avviate le trattative dirette fra Russia e Ucraina, nel contesto del riavvicinamento dei due Paesi in vista di un concreto processo di pacificazione, l’Unione Europea ha approvato il diciassettesimo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Le nuove misure adottate includono provvedimenti contro 17 individui e 50 società, colpiscono 189 navi della cosiddetta flotta ombra russa e si inseriscono in un più ampio piano di Bruxelles che mira a contrastare le attività ibride di Mosca a vari livelli. Secondo Kaja Kallas, l’Alta rappresentante dell’UE per gli affari esteri: “Quanto più a lungo la Russia conduce la guerra, tanto più dura deve essere la nostra risposta”. Bruxelles ha preannunciato inoltre l’arrivo del diciottesimo pacchetto, a breve.

La guerra va avanti

L’Unione europea, e soprattutto i cosiddetti Paesi volonterosi, trainati dal quartetto formato da Gran Bretagna, Francia, Germania e Polonia, già nelle scorse settimane avevano minacciato un nuovo giro di vite nel caso Mosca non avesse accettato l’ultimatum di una tregua di trenta giorni, propedeutica all’inizio dei negoziati. Il Cremlino non aveva reagito e a sua volta aveva rilanciato per colloqui diretti a Istanbul, tenutisi in seguito senza una decisione sul cessate il fuoco. Al momento si è in attesa del prossimo round, dopo la telefonata tra Vladimir Putin e Donald Trump che si è inserita in un binario di dialogo ad ampio raggio tra Russia e USA, nel quale di sanzioni si parla solo come ostacolo da eliminare. La guerra intanto va avanti e le forze russe premono su tutta la linea del fronte.

Il Cremlino non cambia strategia

Al di là della differente posizione all’interno dello schieramento occidentale che sostiene Kiev, con la linea morbida di Washington e quella più dura europea, è da rilevare come nella realtà dei fatti la mano pesante di Bruxelles e dei volenterosi non sia appunto tale e basta dare un sguardo soprattutto ai numeri per svelare che il dichiarato pugno duro sanzionatorio assomiglia più a un buffetto e la somma che si è raggiunta dal 2014, da quando sono stati comminati i primi provvedimenti restrittivi e punitivi, diplomatici ed economici, non è servita certo a fare cambiare strategia al Cremlino. Putin, come nell’ultimo caso, non ha spostato la propria posizione, forte del fatto che nel corso dell’ultimo decennio e anche dal 2022, da quando è iniziata l’invasione su larga scala dell’Ucraina, le contromisure russe alle sanzioni occidentali hanno a grandi linee funzionato.

Il guanto di velluto europeo

Non solo: l’Unione Europea, al di là delle retorica di Kallas e della presidente della Commissione Ursula von der Leyen, in carica dal 2019, non ha certo usato le maniere davvero forti contro la Russia. L’esempio più eclatante è proprio quello del settore energetico, il pilastro fondamentale dell’economia russa, centrato sull’export di idrocarburi, dove in sostanza è stato usato il guanto di velluto. Se negli ultimi pacchetti di Bruxelles è stata presa di mira la flotta ombra russa, con circa la metà delle navi sanzionate, i dati del Crea, centro di studi energetici che monitora le esportazioni russe e gli effetti delle sanzioni, indicano che nello scorso mese di aprile quasi la metà (47%) del petrolio russo è stata trasportata su petroliere battenti bandiere dei Paesi del G7+, quattro punti percentuali in più rispetto a marzo. Da gennaio, la quota di navi ombra nel trasporto di petrolio russo è scesa dal 65% al ​​53%.

La Russia ha diversificato

Ad aprile i volumi delle esportazioni di petrolio russo sono aumentati marginalmente dell’1%, mentre i ricavi sono diminuiti del 6%, a causa della diminuzione del prezzo suo mercato internazionale. La Russia ha da tempo diversificato le direttrici, soprattutto verso Cina e India. Stando ai numeri del Crea riferiti allo scorso mese le importazioni di greggio russo via mare da parte di Pechino sono aumentate dell’8% raggiungendo i livelli più alti da ottobre 2024; l’aumento è dovuto principalmente appunto al calo dei prezzi globali del petrolio ad aprile e alle raffinerie cinesi che ne hanno tratto vantaggio per incrementare le proprie scorte. Il price cap a 60 dollari al barile imposto dall’UE è stato inefficace.

Se l’Unione europea ha bloccato parzialmente le importazioni di greggio e prodotti petroliferi dalla Russia, nel settore del gas si è limitata a sanzionare solo le riesportazioni di gnl (gas naturale liquefatto) russo nei porti dell’Unione, con il risultato che l’UE è il maggior importatore di gnl russo, con circa il 50%, davanti alla Cina con il 21% e il 2024 ha segnato un anno record per Mosca; anche per quel riguarda il gas trasportato via pipeline la quota dell’import europeo è maggioritaria, con il 37% del gas esportato dalla Russia che arriva in Europa e il 29% che finisce in Cina. Il gigante statale del gas Gazprom nel 2024 è ritornato in attivo con ricavi per oltre 14 miliardi di dollari.

I furbetti del gas e del nucleare

Sempre stando ai numeri del Crea, ad aprile la ​​Francia del presidente Emanuel Macron è stata il secondo maggiore importatore di combustibili fossili russi all’interno dell’Unione Europea, dietro l’Ungheria. Le sue importazioni, incluso il gnl, hanno raggiunto un valore totale di 371 milioni di euro, finiti nelle casse del Cremlino. Secondo un recente studio, parte del gas importato dalla Francia viene riesportato in Germania attraverso il terminale di Dunkerque. Oltre al gas, non sottoposto a sanzioni e che rappresenta oltre il 70% delle importazioni totali europee, anche il petrolio russo continua ancora a fluire verso Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca attraverso il ramo meridionale dell’oleodotto Druzhba, in virtù proprio di un’esenzione concessa da Bruxelles.

Infine c’è il settore nucleare, anche questo non sottoposto a sanzioni e altro esempio dei doppi standard europei: ad aprile Greenpeace France ha pubblicato un rapporto in cui ha accusato Parigi di sostenere indirettamente la guerra della Russia in Ucraina attraverso il commercio non solo di combustibili fossili, ma anche di materiali nucleari. L’Ong ha evidenziato come la collaborazione francese con il colosso russo Rosatom sia rimasta intatta. L’Unione Europea ha sì annunciato ufficialmente all’inizio di maggio che porrà fine alla sua dipendenza dall’energia russa, interrompendo l’importazione di gas e petrolio ed eliminando gradualmente l’energia nucleare, ma i fatti indicano per ora che molti Paesi agiscono comunque in funzione dei rispettivi interessi nazionali, al di là delle dichiarazioni ufficiali.

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Telefonata tra Trump e Putin

Telegiornale 19.05.2025, 20:00

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