L’accordo firmato in Egitto per porre fine al conflitto tra Israele e Hamas ha suscitato reazioni contrastanti tra gli esperti. Da un lato, c’è ottimismo per il cessate il fuoco e la liberazione degli ostaggi, dall’altro, permangono dubbi sulla sua effettiva portata e sulle prospettive future per la regione.
Il professor Riccardo Redaelli, esperto di questioni mediorientali all’Università Cattolica di Milano, offre una visione cauta: “Formalmente hanno firmato un accordo di pace, in realtà - spiega ai microfoni del Telegiornale - hanno firmato quello che possiamo definire un accordo di tregua. Era fondamentale fermare il conflitto, fermare la strage di civili palestinesi, restituire gli ostaggi israeliani. Ma la pace non è solo assenza di conflitto, è qualcosa di più e quella va tutta costruita”.
Redaelli sottolinea le numerose questioni ancora irrisolte, come il disarmo di Hamas, il ruolo politico dei palestinesi e la ricostruzione di Gaza. “Non sarà solo una ricostruzione fisica, ma deve essere anche sociale, economica, umana. Tutte queste cose sono molto poco chiare”, afferma il professore.
Guldimann: “Nessuna prospettiva chiara sulla soluzione dei due Stati”
Sempre al TG è intervenuto Tim Guldimann. L’ex ambasciatore svizzero, con esperienza in Iran, dove ha condotto diverse delicate trattative diplomatiche, esprime invece preoccupazioni più profonde: “Bisogna fare attenzione di non vedere tutto con questo ottimismo. Quando si guardano questi venti punti sulla base dei quali si sono messi d’accordo, è un dettame neocoloniale. I palestinesi non sono stati interpellati, non si parla delle elezioni, non si parla della loro autodeterminazione e non c’è nessuna prospettiva chiara sulla soluzione dei due Stati”.
Guldimann critica l’assenza di Israele e Hamas al vertice di pace in Egitto: “Un leader israeliano del passato ha detto: ‘La pace si negozia con i nemici’. Ma i palestinesi non partecipano a questo processo e questo lo trovo strano”.
Il ruolo di Hamas nella Striscia di Gaza e la questione del suo disarmo rimangono controversi. La questione per Redaelli è molto complicata: “Io come storico non ricordo nessun caso in cui un movimento, anche militare, si sia sciolto senza nessuna contropartita politica. I palestinesi non ottengono nulla. Non si parla di Stato di Palestina, non si parla neanche di un autogoverno vero della Striscia”.
Secondo il professore, “Hamas in questo momento è una necessità perché Gaza è distrutta e in rovina. Per proteggere i convogli di aiuti c’è bisogno di forze di polizia. È ovvio che Hamas non potrà più essere una forza terroristica che compie stragi. Dovrà possibilmente evolvere, ma ricordiamoci che Hamas è soprattutto un’ideologia. Con i massacri compiuti da Israele in questi anni, purtroppo si è seminato un odio che rimarrà per molti anni”.
“La Svizzera potrebbe essere più concreta”
Guardando al futuro, anche per l’ex ambasciatore Guldimann l’ipotesi dei ‘due popoli due Stati’ è la sola attuabile: “Credo che l’unica soluzione accettabile per il popolo palestinese sia di avere una prospettiva o il riconoscimento di uno Stato palestinese. La maggioranza dei Paesi riconosce la Palestina come Stato, la Svizzera no, e di questo il consigliere federale Ignazio Cassis ha parlato soltanto come una tendenza, come una speranza. Ma credo che si potrebbe diventare più concreti. Il secondo aspetto, per la Svizzera, è quello del diritto internazionale umanitario. Credo che sulle violazione di questo diritto da parte di Israele occorrerebbe una posizione più chiara. C’è una reticenza che non capisco”.
Redaelli, da parte sua, solleva preoccupazioni sulla Cisgiordania: “È il grande punto di fragilità, il grande punto di vergogna della politica israeliana. In questo territotorio non c’è solo un’espansione illegale delle colonie israeliane, ma i coloni sono estremamente violenti contro la popolazione palestinese. Lo Stato palestinese, che è l’unica soluzione possibile per avere una vera pace, non ha fisicamente più un territorio”.
Riguardo al futuro dell’intera regione l’esperto di Medio Oriente ricorda che “gli accordi di Abramo (le intese diplomatiche firmate a Washington nel 2020 che hanno normalizzato le relazioni tra Israele e alcuni Paesi arabi, ndr) erano nati soprattutto in funzione anti-iraniana. L’Iran è stato umiliato, sconfitto, quasi ridicolizzato. Oggi è meno un problema. D’altra parte credo che per l’Arabia Saudita sarebbe ancora difficile riavviare gli accordi senza un quadro più chiaro. C’è bisogno che Israele, che oggi è molto più a destra, faccia dei passi. C’ è bisogno inoltre che si risolva la questione del Libano, con l’evoluzione di Hezbollah, che va aiutata, con il ritiro delle truppe israeliane che va completato. C’è poi la questione siriana, dove ci sono due problemi, da un lato le interferenze israeliane, dall’altro il processo politico interno che non dà grandi assicurazioni con questa sottospecie di elezioni che sono state tutto, fuorché rassicuranti”.
In conclusione, mentre l’accordo di pace rappresenta un passo importante verso la stabilità nella regione, rimangono numerose sfide e questioni irrisolte.

Liberati gli ultimi ostaggi israeliani
SEIDISERA 13.10.2025, 18:00
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