I colloqui a Ginevra di ieri, domenica, sono serviti per coordinare la posizione dell’Ucraina e degli alleati occidentali sul piano in 28 punti lanciato la scorsa settimana dagli Stati Uniti alla ricerca di una soluzione per il conflitto nell’ex repubblica sovietica. La “road map” per la pacificazione appare ancora lunga e irta di ostacoli, con molti dettagli ancora da definire, ma è evidente come adesso Kiev e le cancellerie continentali, sotto la forte pressione di Washington, siano entrate nell’ordine di idee di riconsiderare la linea oltranzista tenuta sino a ora, avvicinandosi alla prospettiva di una possibile fine della guerra con inevitabili concessioni alla Russia. Gli europei hanno replicato a quello statunitense con un piano di 24 punti, e la sintesi definitiva, con i progressi sostanziali annunciati, dovrà essere fatta a breve fra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, mentre il convitato di pietra a Ginevra, Vladimir Putin, rimane in attesa.
Le difficoltà di Kiev
L’accelerazione diplomatica degli ultimi giorni ha avuto essenzialmente due ragioni, riconducibili alla situazione militare e politica in Ucraina. In primo luogo la pressione russa su tutta la linea del fronte è molto cresciuta nelle ultime settimane sia nel Donbass, soprattutto tra Kupyansk e Pokrovsk, sia nel quadrante di Zaporizha, dove le forze del Cremlino hanno fatto segnare un’avanzata dopo mesi di stallo. I motivi delle difficoltà ucraine risiedono a loro volta da un lato nell’inferiorità numerica e nella minore disposizione di risorse rispetto a Mosca e dall’altro negli aiuti di fatto azzerati non solo da parte degli USA, ma anche dell’Unione Europea e dei volonterosi, come sancito dai numeri regolarmente forniti dall’Istituto per l’economia mondiale di Kiel, che monitora il supporto occidentale all’Ucraina dall’inizio del conflitto.
L’appoggio militare a Kiev è crollato all’inizio del secondo semestre del 2025 del 43%. Inoltre la tattica coordinata fra la Bankova, sede presidenziale ucraina, e i vertici militari guidati dal generale Olexey Syrsky, si è dimostrata non solo inefficace, ma anche controproducente, basti pensare al disastro dell’operazione di Kursk cominciata già nel 2024, che ha aperto il fianco nel Donbass alla più rapida penetrazione russa di quest’anno: la sconfitta di Pokrovsk è stata solo una replica di quelle viste a partire dal 2023 tra Severodonetsk, Bakhmut e Avdiivka.
La morsa di Putin e Trump
In secondo luogo gli scandali di corruzione che hanno coinvolto il cerchio magico del presidente ucraino, hanno notevolmente indebolito all’interno del paese la sua leadership, stretta anche nella morsa esterna fra il Cremlino e la Casa Bianca. Ormai abbandonata la retorica di una possibile vittoria sul campo, con la riconquista dei territori perduti dal 2014, dalla Crimea al Donbass, Zelensky ha dovuto assumere un approccio più realistico, lasciando spazio alle iniziative diplomatiche imposte dall’esterno, come il piano di Trump, realizzato grazie al lavoro dei due inviati speciali, Steve Witkoff e Kirill Dmitrev. La contemporaneità delle due vere e proprie crisi, militare e politica, ha costretto l’Ucraina ancor più sulla difensiva, con i fedelissimi del capo di Stato, guidati da Andrei Yermak, capo negoziatore a Ginevra, messo di fronte alla realtà dei fatti e con uno spazio autonomo di manovra estremamente ristretto. Tra la debolezza crescente di Zelensky e quella dell’UE e dei volenterosi, incapaci di assumere un ruolo davvero attivo e costruttivo oltre la propaganda, il Cremlino ha quindi adottato una tattica di attesa, tessendo dietro le quinte la tela con la Casa Bianca.
La posizione di forza del Cremlino
Al tavolo delle trattative, dopo quasi quattro anni di guerra, non conta tanto la dicotomia fra aggressore e aggredito, che è sempre stata parte integrante della narrazione del conflitto tra Bruxelles e le cancellerie europee sostenitrici di una linea dura con la Russia, quanto la fotografia della situazione attuale: al momento Mosca sta prevalendo militarmente, il quadro per l’Ucraina è in netto deterioramento, gli Stati Uniti si sono smarcati e sono passati da primi supporter di Kiev a mediatori, con Donald Trump desideroso di chiudere in fretta un altro “deal”, i volenterosi sono tali più di nome che di fatto, vista la riduzione effettiva degli aiuti militari all’Ucraina. Il Cremlino, che ha sopportato senza troppi problemi i pacchetti sanzionatori da parte dell’UE, anche per il fatto che i provvedimenti non hanno toccato a tutt’oggi settori fondamentali come quelli del gas e del nucleare, mantiene dunque una posizione di forza, con la possibilità di poter affrontare l’eventuale percorso di pace alle proprie condizioni o scegliere di continuare la guerra.
Cosa deciderà il Cremlino?
La Russia, pur segnata leggermente dalle sanzioni occidentali, ma non tanto da essere costretta a cambiar strategia in Ucraina, e non certo isolata - sia economicamente, che politicamente - sulla scacchiera internazionale, appare in grado di poter proseguire il conflitto e perseguire gli obiettivi che, dopo il fallimento della presa di Kiev tra il febbraio e il marzo 2022, sono stati inseriti nella cornice di una guerra di attrito sul medio e lungo periodo: al momento non ci sono da un lato prospettive che l’Ucraina possa resistere a lungo al logoramento russo e dall’altro gli alleati occidentali, USA in primis, non vogliono affrontare l’escalation diretta con Mosca. Per Putin si tratta quindi di gestire da uno stato di vantaggio l’eventuale processo di pacificazione, inquadrandolo in un accordo ampio per l’architettura di sicurezza in Europa.
È in sostanza quello che sta avvenendo sulla base di un piano che ricalca quello stilato a Istanbul nell’aprile del 2022, poi saltato: a distanza di oltre tre anni e mezzo, i rapporti di forza tra Russia e Ucraina sono però mutati a sfavore di quest’ultima e il potere contrattuale di Kiev è diminuito notevolmente, oltre a essere sempre subordinato a quello degli USA, che in ogni caso sono in grado di condizionare anche gli alleati europei all’interno della NATO. La via della pace in Ucraina passa in primo luogo per l’intesa di fondo tra Mosca e Washington, fra Putin e Trump, mentre Zelensky e i volenterosi sono relegati al ruolo di comparse senza troppa voce in capitolo: così vuole la Realpolitik, secondo la quale nei prossimi giorni dovranno essere definiti i dettagli di un accordo che per forza di cose sarà a vantaggio dei vincitori e non dei perdenti.

Ginevra, colloqui tra USA e Ucraina
Telegiornale 23.11.2025, 20:00









