Approfondimento

Che fine ha fatto il Metaverso?

Da termine sulla bocca di tutti a concetto oggi quasi dimenticato e soppiantato dall’IA. Cos’è successo e cosa resta oggi delle promesse di Zuckerberg e soci? A colloquio con due esperti (prima parte)

  • Oggi, 05:36
  • Un'ora fa
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Tra il 2021 e il 2022, il Metaverso era ovunque: se ne parlava in conferenze, articoli, presentazioni, e Zuckerberg stesso lo promuoveva attraverso il suo avatar virtuale

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Di: Dario Lanfranconi 

Nel 2021, Facebook – il primo grande social network – e il suo fondatore Mark Zuckerberg, decisero di cambiare il nome dell’intera azienda in “Meta”. Questo cambio di identità era un chiaro riferimento al Metaverso, che in quel momento sembrava rappresentare il futuro della tecnologia e della nostra vita digitale. Tra il 2021 e il 2022, il Metaverso era ovunque: se ne parlava in conferenze, articoli, presentazioni, e Zuckerberg stesso lo promuoveva attraverso il suo avatar virtuale. Tuttavia, quell’entusiasmo iniziale – quell’hype come si dice nel mondo tecnologico – è andato progressivamente scemando. Le informazioni sul Metaverso sono diventate più rare, e oggi, anche sul sito ufficiale di Meta se ne parla solo marginalmente. Questo ci porta naturalmente a chiederci: che fine ha fatto il Metaverso? E cosa ne resta oggi, concretamente?

Per scoprirlo ne abbiamo parlato con Stefano Bory, professore di sociologia dei processi culturali e comunicativi e ricercatore all’Università Federico II di Napoli, e con Gianluigi Negro, ricercatore e professore di Lingua e traduzione cinese presso l’Università di Siena. Negro ha lavorato anche all’USI presso il China Media Observatory, dove ha conseguito il suo dottorato, e i suoi studi riguardano la storia dei media cinesi e la governance di Internet. Insieme a un gruppo di ricerca da tempo entrambi conducono un progetto di ricerca incentrato proprio sul metaverso e le sue implicazioni.

Una promessa non mantenuta

Il professor Bory va subito dritto al punto, affermando che “si è trattato di una grande campagna di marketing, costruita su una retorica molto potente, che ha generato aspettative forse sproporzionate rispetto alle reali possibilità tecnologiche del momento. È possibile che nemmeno i vertici di Meta fossero pienamente consapevoli dei limiti del progetto. Oppure, come accade spesso nel marketing, si è puntato tutto su una visione futuristica, un po’ come fa Elon Musk: grandi promesse e sparate, anche senza la certezza di poterle mantenere. Il Metaverso è stato presentato come una sorta di ‘terra promessa’, un nuovo mondo digitale abitabile, immersivo, alternativo alla realtà quotidiana. Ma poi, nella realtà dei fatti, questo mondo non si è mai realizzato davvero”.

Il progetto ha subito quindi un ridimensionamento? “Diciamo che Meta ha cambiato strategia, adottando una nuova identità di brand e spostando l’attenzione su altri prodotti. E il Metaverso, così come era stato immaginato – un universo virtuale abitabile, dove trascorrere parte della propria giornata – è stato messo da parte”.

Eppure, gli investimenti non sono mancati: dal 2021 a oggi, Meta ha infatti speso oltre 40 miliardi di dollari in questo settore, “ma il risultato non è stato un unico grande Metaverso, bensì una costellazione di piccoli mondi virtuali, ciascuno con le sue caratteristiche, applicazioni e limiti”.

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Una promessa non mantenuta

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Un piccolo universo di mondi virtuali frammentati dove il gioco la fa da padrone

Il professor Bory a questo punto specifica però anche che “non possiamo in realtà dire che il Metaverso non esista affatto. Esistono tanti piccoli mondi virtuali: app, giochi, esperienze immersive, spazi museali digitalizzati. Tuttavia, questi mondi non comunicano tra loro, non formano un ecosistema integrato. Sono ‘stanzette’, ‘piccole piazze’ o anche ‘sale da ballo’ virtuali, ma ognuna chiusa nel proprio perimetro”.

Un campo dove invece la tecnologia della realtà virtuale (anche abbreviato in VR, la sigla inglese) ha trovato applicazioni più concrete sembra invece essere quello delle imprese e del lavoro: “Nella medicina, ad esempio, per la simulazione di interventi chirurgici, come anche in odontoiatria. In questi contesti, la realtà virtuale può offrire punti di vista e precisione che nella realtà fisica sarebbero impossibili”.

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Un simulatore virtuale per esaminare una macchina industriale

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Il vero settore dove la VR continua a crescere è però quello dei videogiochi: “È nel gaming che si concentrano gli sforzi maggiori, sia in termini di sviluppo che di mercato. Il gioco è il terreno più fertile per sperimentare e far evolvere queste tecnologie e Meta ha puntato molto su esperienze di gioco connesse e interattive, dove centinaia, a volte milioni di giocatori in tutto il mondo si ritrovano in ambienti virtuali condivisi. Titoli come FortniteMinecraft e altri simili sono esempi emblematici: sono giochi già strutturati come mondi virtuali, che ora integrano anche tecnologie immersive come i visori per aumentare il coinvolgimento. È quindi in questi ambienti che si trova oggi il vero mercato del Metaverso. Tuttavia, questo successo porta con sé anche delle criticità. Una parte della community di gamer sviluppa infatti forme di dipendenza, fatica a staccarsi da questi mondi e questo solleva interrogativi importanti sul rapporto tra realtà e virtuale”.

Insomma, oggi non esiste un unico mondo virtuale integrato, dove si possa passare senza soluzione di continuità da un’attività all’altra, come ad esempio fare sport, poi partecipare a una riunione e infine incontrare gli amici come invece sembravano lasciare intendere le premesse di questa tecnologia. “Non sappiamo nemmeno se abbia ancora senso parlare di Metaverso al singolare. Forse è più corretto parlare di una grande narrazione, nata all’inizio degli anni 2020, che ha poi lasciato spazio a una moltitudine di esperienze virtuali diverse, costruite attorno a interessi specifici e accessibili solo tramite strumenti e software non interoperabili”.

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Quello dei videogiochi è il settore dove la realtà virtuale ha avuto il maggior impatto e successo

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L’esempio italiano, i numeri del Metaverso e delle tecnologie immersive

Pur non essendo un Paese perfettamente rappresentativo a livello globale, l’Italia è comunque una realtà avanzata e attiva nell’adozione delle tecnologie immersive in diversi settori. Il gruppo di lavoro di Stefano Bory e Gianluigi Negro ha mappato almeno 470 aziende italiane che investono nella realtà virtuale e nelle sue applicazioni. Non si tratta di un numero enorme, ma è comunque significativo. Inoltre, secondo i dati dell’Osservatorio sul Metaverso – che studia l’economia del settore sia in Italia che all’estero – si prevede che, entro il 2029, gli investimenti italiani nelle tecnologie immersive possano raggiungere una cifra compresa tra i 35 e i 47 miliardi di euro. Questi dati indicano chiaramente che il settore non è affatto fermo. Al contrario, si continua a investire e a progettare. Tuttavia, il focus si sta spostando: non si parla più solo di realtà virtuale o aumentata in senso stretto, ma sempre più spesso di realtà mista (mixed reality), che rappresenta la nuova frontiera applicativa.

Una grande operazione di marketing e un immaginario recuperato da Second Life e Matrix

A questo punto interviene il professor Gianluigi Negro che, oltre a condividere quanto espresso dal professor Bory, sottolinea come anche il loro gruppo di lavoro si occupi molto anche dell’aspetto dell’immaginario: “Prima ancora di analizzare il Metaverso dal punto di vista tecnico o funzionale, ci siamo interrogati su come questo immaginario si sia formato, anche proprio grazie a un’impronta fortemente influenzata dal marketing. Non solo: abbiamo adottato anche una prospettiva storica e abbiamo notato che molti tratti identitari del Metaverso attuale richiamano forme che oggi potremmo definire quasi ‘preistoriche’ della realtà virtuale, come l’esperienza – discussa e non del tutto riuscita – di Second Life. Avevamo persino ipotizzato un parallelo tra il Metaverso contemporaneo e quelle prime sperimentazioni, individuando elementi comuni in termini di temi, caratteristiche e modalità di interazione. Scavando ancora più a fondo, abbiamo trovato radici ancora più antiche, nella letteratura e nella cultura popolare: basti pensare a Matrix o al romanzo Snow Crash di Neal Stephenson, pubblicato nel 1992, quello che per primo ha coniato il termine “Metaverso”. Non a caso, proprio nei primi anni 2000, abbiamo visto emergere applicazioni come Second Life, che sembravano dare forma a quelle visioni letterarie”.

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Un'immagine tratta dal gioco/esperienza Second Life (2007)

  • Aldon Hynes/Creative commons

Sempre in riferimento all’immaginario, un altro aspetto interessante – e forse anche provocatorio – che emerge dalle ultime pubblicazioni di Bory e Negro riguarda il metodo: “L’approccio fortemente orientato al marketing ha, in un certo senso, forzato l’evoluzione del concetto di Metaverso. Oggi, infatti, non esiste una definizione univoca e condivisa: in letteratura abbiamo contato oltre 200 definizioni diverse. Questo perché l’identità stessa del Metaverso cambia a seconda del contesto applicativo: turismo, educazione, economia, marketing, cultura e così via. Inoltre, la definizione varia anche in base al contesto geografico e culturale: istituzioni e governi occidentali e orientali, aziende tecnologiche, istituzioni accademiche, … ognuno propone una propria interpretazione. Questa frammentazione rende l’analisi del fenomeno molto più complessa, ma allo stesso tempo ci permette di cogliere la sua natura evolutiva”.

Il Metaverso come fenomeno mediale, per i due esperti sembra quindi seguire un ciclo: emerge, cresce, si affievolisce per poi riemergere, spinto da nuove tecnologie come la realtà aumentata e la realtà mista, che continuano a essere sviluppate e sostenute.

Il boom trainato dalla pandemia e i limiti tecnologici

Nonostante gli investimenti e i “piccoli” mondi separati che continuano a svilupparsi, il ciclo del Metaverso al momento sembra però come scritto tornato in piena fase discendente: che cosa è andato storto? Ci sono stati degli errori da parte dei protagonisti? A rispondere per primo è Gianluigi Negro, che sottolinea un fattore non indifferente che ha contribuito al boom del Metaverso: la pandemia. “In quel momento, gran parte della popolazione mondiale era costretta a casa e molti si sono rifugiati in esperienze digitali, in particolare nel gaming, come ha già sottolineato anche Stefano. Il gioco online ha rappresentato una delle principali modalità di evasione e socializzazione durante la pandemia. Questo contesto ha contribuito a rafforzare l’idea di un mondo virtuale in cui poter svolgere attività quotidiane, alimentando l’hype attorno al Metaverso. Tuttavia, una volta superata l’emergenza sanitaria, l’interesse è prontamente calato. Alcune applicazioni hanno cercato di spostarsi verso ambiti più concreti – come la sanità, l’architettura o il design –, ma questo cambio di rotta ha evidenziato i limiti tecnici della tecnologia disponibile, che non era ancora sufficientemente matura per supportare esperienze complesse e realistiche in questi settori. Paradossalmente l’hype iniziale non ha trovato riscontro nemmeno nei settori di punta come il gaming, con molti osservatori che hanno criticato la qualità delle implementazioni grafiche, giudicate inferiori alle aspettative”.

“Parallelamente – riprende il discorso Stefano Bory – abbiamo osservato le comunità che abitano il Metaverso. Abbiamo mappato piccoli gruppi che si incontrano sui social, creano stanze virtuali, discutono, organizzano eventi, presentazioni di libri, feste, concerti. Ognuno entra con il proprio avatar, indossa il visore e partecipa a queste esperienze condivise. Sono forme di socialità digitale che come detto ricordano Second Life, ma con una qualità sensoriale migliorata. Tuttavia, queste community sono ancora molto piccole, spesso composte da poche decine di persone. Abbiamo cercato di capire chi si nasconde dietro gli avatar, e abbiamo scoperto che non si tratta affatto di adolescenti – che invece dominano il ben più ampio mondo del gaming –, ma di adulti tra i 25 e i 50 anni: la prima generazione di “abitanti digitali” che ha deciso di tornare a esplorare gli spazi immersivi. Ma, come già detto da Gianluigi, a essere sinceri i risultati non sono rivoluzionari: l’esperienza ricorda ancora quella di Second Life, solo con il visore”.

La conclusione dei due esperti è quindi che non stiamo assistendo alla nascita di vere e proprie sfere pubbliche virtuali. Esistono piccoli gruppi che discutono e si incontrano, ma restano confinati in spazi ristretti. E ci sono tanti giovani che vivono intensamente il mondo virtuale, ma solo come spazio ludico. Il Metaverso, almeno per ora, non è diventato quel grande spazio condiviso e abitabile che era stato immaginato.

Metaverso, dall’Occidente alla Cina: un approccio differente

Sempre in relazione al Metaverso e alla tecnologia, Gianluigi Negro si occupa anche di studiare la realtà della Cina, dove ha pure vissuto e lavorato, che si differenzia da quella occidentale. “In Cina, il Metaverso non è visto come una rottura o una novità assoluta, ma come uno strumento per promuovere l’integrazione tra mondo virtuale e mondo reale. L’obiettivo non è l’evasione individuale dalla realtà come in Occidente, quanto il potenziamento della realtà, in linea con una strategia che da oltre vent’anni punta a rafforzare il settore manifatturiero attraverso l’innovazione digitale. Inoltre, nella narrazione cinese compare un elemento assente in quella occidentale: lo sviluppo della tecnologia verde, a conferma di una visione più pragmatica e orientata agli impatti concreti. Se per la visione cinese l’intelligenza artificiale deve essere “centrata sull’essere umano”, il Metaverso deve esserlo “sul mondo reale”, con un impatto tangibile sulla vita quotidiana. In questo senso, da noi può sorprendere il fatto che il Metaverso venga usato per ricreare ambienti legati alla storia del Partito Comunista Cinese, come la Lunga Marcia o la fondazione della Repubblica Popolare; ma allo stesso tempo, la Cina investe molto anche in applicazioni culturali e turistiche, con l’obiettivo di rafforzare l’identità nazionale non solo sul piano politico, ma anche culturale. Infine, non va dimenticato il ruolo delle grandi aziende cinesi, come Tencent, leader mondiale nel gaming online, che ha investito massicciamente nel Metaverso con l’obiettivo di esportare i propri prodotti, in particolare nei Paesi coinvolti nella strategia della ‘One Belt, One Road’ (Nuova via della seta, ndr)”.

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Una cittadina sperimenta una scena di metaverso nella mostra d'arte del patrimonio culturale immateriale a Guiyang, nella provincia di Guizhou

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La dirompenza e la fame di investimenti dell’IA

A questi limiti si aggiunge anche un’altra questione: “A partire dal 2021 – prosegue Bory –  e soprattutto nel 2022, l’intelligenza artificiale ha iniziato a occupare uno spazio sempre più centrale nei progetti di ricerca e sviluppo delle grandi aziende tecnologiche. Non abbiamo accesso diretto alle decisioni interne di Meta, né ai suoi dirigenti – e probabilmente molti dettagli resteranno segreti industriali – ma da studiosi dei media e dei processi sociali possiamo formulare ipotesi plausibili. Una di queste è che, in quel momento, puntare tutto sul Metaverso senza investire anche sull’IA generativa sarebbe stato un errore strategico. Questo ha portato a una riflessione più ampia: come integrare l’intelligenza artificiale nei mondi virtuali? Non si poteva semplicemente ‘tirare fuori il coniglio dal cilindro’. Ancora oggi, il dibattito su come l’IA possa contribuire alla generazione e alla gestione di ambienti virtuali è aperto. Al momento, l’attenzione si è spostata verso l’IA generativa – immagini, video, contenuti – che sta dominando la scena.

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Come sperimentiamo il mondo “secondo l’IA”

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  • Mattia Pelli

Possiamo quindi ipotizzare che il declino del Metaverso non sia stato tanto un fallimento del concetto in sé, quanto il risultato di due fattori convergenti: da un lato, il desiderio delle persone di tornare alla vita reale dopo un lungo isolamento; dall’altro, la necessità per le aziende di restare competitive investendo sull’intelligenza artificiale. Le due dinamiche si sono intrecciate, spingendo il Metaverso in secondo piano” conclude Stefano Bory.

La relazione tra IA e mondi virtuali è ancora quindi tutta da definire, e questa tecnologia dirompente, così come i suoi legami e interazioni con il virtuale – che sia immersivo o di realtà aumentata – sarà l’oggetto della seconda e ultima parte di questa chiacchierata con i due ricercatori. Appuntamento a domani. 

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Il nuovo dispositivo Meta, gli occhiali Orion

  • Imago/Meta

Metaverso, realtà aumentata, realtà mista…un po’ di chiarezza

La realtà aumentata, da sola, si limita a sovrapporre elementi digitali a spazi reali. La realtà virtuale, invece, crea ambienti completamente digitali. La realtà mista cerca di fondere questi due approcci, integrando la funzionalità immersiva della VR all’interno di contesti reali, creando così esperienze più fluide e interattive .Cosa significhi concretamente tutto questo, però, è ancora in fase di definizione. Un esempio interessante è rappresentato dagli occhiali Ray-Ban con funzionalità smart, che hanno avuto un certo successo. Ma il progetto più ambizioso di Meta è Orion, il nuovo occhiale/visore presentato da Meta circa un anno fa, anche se non ancora sul mercato. Si tratta di un dispositivo più complesso, dotato di processori avanzati e capacità di elaborazione superiori. Non si limita a proiettare contenuti o effetti visivi, ma crea veri e propri spazi operativi in cui l’utente può agire.

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