OpenAI, l’azienda produttrice di ChatGPT e di altri strumenti di intelligenza artificiale generativa di enorme successo, sta ridefinendo non solo l’industria dell’AI, ma anche i confini del potere tecnologico, proprio in un momento storico in cui le aziende lavorano allo sviluppo di quella che forse è la tecnologia digitale più potente mai realizzata, l’AI. Dopo essersi trasformata in una realtà ibrida tra no profit e impresa commerciale, e dopo aver cercato di presentare in modo diverso la propria natura corporate, come segnalano alcuni critici, oggi l’azienda di Sam Altman sembra porsi ora degli obiettivi che vanno oltre l’AI generativa. Solo negli ultimi mesi, gli annunci in tal senso non sono mancati.
OpenAI, ad esempio, ha lasciato intendere di puntare alla creazione di un proprio social network, cercando di fatto di entrare nel mercato dominato da Meta, dove anche Elon Musk è attivo con X. Parallelamente, OpenAI ha anche inglobato la startup io di Jony Ive, uno dei più influenti designer industriali contemporanei, noto soprattutto per aver firmato l’estetica di prodotti Apple come l’iPhone, il MacBook e l’iPod, con l’obiettivo di creare un nuovo dispositivo, con ogni probabilità uno smartphone, basato sull’intelligenza artificiale. Si è trattato di un’operazione da quasi 7 miliardi di dollari, paragonabile, quanto a impatto economico, alle grandi acquisizioni dei colossi tecnologici. Qualche proporzone: WhatsApp fu acquistata da Facebook nel 2014 per circa 20 miliardi di dollari; Elon Musk ha acquisito Twitter nel 2023 per 45 miliardi di dollari.
Come molti annunci delle Big Tech, anche quello di OpenAI, che sembra indicare l’ingresso nel mercato dell’hardware, è al momento più che altro una dichiarazione di intenti e una dimostrazione di forza, annunciato con un cortometraggio di nove minuti costano 3 milioni di dollari. Del potenziale dispositivo si conosce poco o nulla, ma in questa fase, e nel mezzo della corsa alla leadership nel mercato dell’AI generativa, a OpenAI torna utile anche solo dimostrare di poter coinvolgere una figura come Ive, dando un chiaro segnale al mondo della tecnologia. Le cose si sono complicate però quando OpenAI ha dovuto rimuovere i contenuti online relativi al suo recente accordo con Ive in seguito a un reclamo per violazione del marchio da parte di iyO, una startup che produce auricolari supportati dall’intelligenza artificiale. L’affare è comunque sancito, ma la festa è, al momento, rovinata. Nel frattempo, Mattel, l’azienda che produce la bambola Barbie, tra le altre, ha annunciato l’avvio di una collaborazione con OpenAI con l’obiettivo di introdurre l’intelligenza artificiale generativa in alcuni dei suoi giocattoli. A maggio, l’azienda di Sam Altman ha anche annunciato Codex, un agente basato sulla cloud per gli sviluppatori e la possibilità di fare shopping online dialogando con ChatGPT.
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In questo intreccio tra strategia economica e apertura a nuovi mercati, acquisizioni miliardarie e sviluppo di nuovi dispositivi, OpenAI sembra procedere verso una forma di “imperialismo” dei dati il cui fine sembra essere creare e mantenere una supremazia sul mercato e diventare una fornitrice di servizi irrinunciabile in uno scenario tecnologico dove quasi tutto passerà dall’AI generativa. Non sono tendenze nuove e sono quelle che le grandi aziende della Silicon Valley hanno seguito dalla loro creazione, al fine di accumulare quanto più potere possibile nei settori fondamentali e diventare le infrastrutture su cui costruire la vita online in questa epoca. Non è strano vedere Google, Meta e gli altri big name della tecnologia sttaunitense fronteggiarsi, anche simbolicamente, per mantenere la posizione dominante su determinati servizi digitali o farsi la concorrenza direttamente. Lo stesso sta avvenendo anche con l’AI generativa e ognuna di queste aziende ha lanciato, non a caso, il proprio chatbot o i propri servizi di questo tipo. Non è ancora chiaro chi finirà per dominare il settore, ma OpenAI vive ancora nello slancio del successo planetario di ChatGPT, lanciata nel 2022 come prima piattaforma di AI generativa a raggiungere le masse.
OpenAI guarda però più in là e il suo obiettivo sembra voler diventare il centro delle nostre esperienze online - come già fanno Google e gli altri colossi della tecnologia – mentre il mondo online si fa sempre più AI-centrico. In un’intervista con Stratechery, Altman ha persino ipotizzato che OpenAI possa offrire un servizio già proposto da altri colossi tecnologici come Apple, Google o Meta: un sistema di accesso unificato per il web. Da quel momento, la strada necessaria a diventare il centro di gravità di tutto quello che facciamo connessi a Internet potrebbe essere, per OpenAI, non così lunga.
*Philip Di Salvo è senior researcher e docente presso l’Università di San Gallo. I suoi temi di ricerca principali sono i rapporti tra informazione e hacking, la sorveglianza di Internet e l’intelligenza artificiale. Come giornalista scrive per varie testate.

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