Scienza e Tecnologia

Il fascino misterioso delle mummie

Non solo Antico Egitto: dai ghiacciai alpini alle torbiere irlandesi, esploriamo la diversità dei cadaveri imbalsamati e le sorprendenti tecniche di conservazione  

  • Oggi, 06:44
mummia egizia
  • IMAGO / Cavan Images
Di: Red. giardino di Albert / Simone Pengue 

Fanno un po’ paura e sono anche piuttosto macabre, ma il loro fascino attraversa i millenni, letteralmente. Di mummie si parla nei libri di storia, nei film, nei videogiochi e, naturalmente, nelle ricerche scientifiche. Data la loro natura, ovvero persone decedute i cui corpi si sono conservati nei millenni, le mummie sono tra i mostri più noti del periodo di Halloween, assieme ad altri puramente di fantasia come vampiri, zombie e lupi mannari. 

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Contrariamente a quanto si è portati a pensare, le mummie non sono affatto un’esclusiva del popolo egiziano. Benché queste siano le più celebri, molte provengono da altre zone del mondo, come l’Europa, l’Asia centrale e le Ande. La distinzione più significativa è tra quelle imbalsamate, cioè trattate con bende e unguenti allo scopo intenzionale di fermarne la decomposizione, e quelle, per così dire, naturali, formatesi per soli agenti ambientali. Tra queste, la più celebre è sicuramente Ötzi, la “mummia del Similaun”, conservata dal ghiaccio a 3.200 metri sul confine tra Austria e Italia fin dalla sua morte, avvenuta tra il 3350 e il 3105 a.C., e rinvenuta nel 1991. Esistono anche diversi esempi di corpi preservati dall’aria fredda e salata del deserto di Atacama, in Cile, o persino nelle torbiere del Nord Europa, come l’Uomo di Cashel, ritrovato in Irlanda nel 2011 e risalente a circa 4000 anni fa. 

Generalmente, un corpo tende ad andare in putrefazione dopo pochi giorni dal decesso a causa dell’azione di batteri ed enzimi che hanno il compito di decomporre i tessuti. La loro attività è però possibile solo a temperature miti e in presenza di acqua e ossigeno. Se uno di questi tre elementi è assente, il processo di decomposizione si blocca. Da un punto di vista strettamente biochimico, è lo stesso principio alla base della conservazione dei salumi, della carne in scatola o dei surgelati. 

03:40

Keahese: la mummia di Brissago

RSI Archivi 03.02.1998, 01:00

Il processo di imbalsamazione

Attirano maggiori attenzioni del grande pubblico, però, le mummie sottoposte a un processo di imbalsamazione, tra le quali le più note sono quelle dell’Antico Egitto. Questa pratica religiosa di trattare i corpi dei morti è cominciata all’incirca nel 2200 a.C. ,anche se c’è molta incertezza attorno a questa data, ed è proseguita fino al periodo romano. Il primo passo dell’imbalsamazione consisteva nella rimozione degli organi interni attraverso delicate operazioni. Il cervello, ad esempio, veniva estratto con un uncino attraverso una delle narici, mentre la maggior parte degli organi addominali e i polmoni venivano rimossi tramite precise incisioni sul corpo. Il cuore, invece, considerato sede dell’anima, restava al suo posto. 

Alla rimozione degli organi seguiva un importante processo di disidratazione dei tessuti ad opera di un minerale a base di sodio raccolto sulle rive dei laghi egiziani, chiamato natron. Il corpo intero veniva dunque ricoperto di natron e lasciato così per circa quaranta giorni, per consentire l’assorbimento dell’acqua e bloccare la decomposizione. Dopo l’essiccazione, il corpo veniva riempito con segatura, lino o resine per mantenerne la forma, e poi unto con oli profumati, resine e balsami per ammorbidire la pelle e profumare il defunto. Infine, prima di deporre il corpo nel sarcofago, veniva avvolto nelle bende che rendono le mummie egizie così iconiche. 

L’imbalsamazione in altre civiltà

In altre parti del mondo le pratiche di imbalsamazione sono state differenti, pur seguendo gli stessi principi. Il popolo dei Chinchorro, in Cile, ad esempio, cominciò a imbalsamare i propri defunti già nel 5000 a.C. Nel corso dei millenni sono state utilizzate diverse tecniche, alcune delle quali prevedevano persino lo smembramento del corpo e la sua successiva ricomposizione. Come nel caso degli Egizi, il clima secco del deserto ha contribuito notevolmente al buon mantenimento dei corpi. 

Si considera spesso che la mummia meglio conservata al mondo sia quella di Lady Cheng (Xin Zhui), una nobildonna cinese vissuta circa 2000 anni fa. Nel corso dei secoli l’imbalsamazione è proseguita anche in Europa, dove veniva praticata all’interno dei monasteri. Tra le mummie contemporanee, la più celebre è probabilmente quella del rivoluzionario russo Vladimir Lenin, che viene sottoposta a trattamenti regolari circa ogni due anni per garantirne un perfetto stato di conservazione. 

La ricerca scientifica

Oltre alle indagini di tipo storico, sono tuttora attivi numerosi studi scientifici che utilizzano tecniche avanzate di medicina, come analisi genetiche, risonanze magnetiche o raggi X. Un esempio è rappresentato dalle ricerche condotte presso l’Istituto di Medicina Evolutiva dell’Università di Zurigo, pionieristico in questo ambito. Attraverso lo studio dei tessuti molli ben conservati nelle mummie, oggi possiamo comprendere quali malattie fossero presenti nelle antiche civiltà e dedurre come si siano evolute nel tempo o quali ne siano le cause. 

07:58

Mummie

RSI Info 23.02.2023, 12:20

Curiosamente, all’inizio del 2025 ha suscitato grande clamore la pubblicazione su Journal of the American Chemical Society di uno studio sull’odore presente all’interno di un sarcofago, condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università di Lubiana, dell’University College di Londra e dell’Università di Cracovia. L’odore è stato descritto come piacevole, penetrante, dolce, legnoso e speziato, conferitogli dai balsami e dalle cere naturali usate per l’imbalsamazione. 

Il gruppo di ricerca ha raccolto campioni dell’aria contenuta nei sarcofagi con un preciso sistema di pompe e tubi, prestando attenzione a non danneggiare i preziosi reperti. Ogni campione è stato poi fatto annusare a otto esperti, che ne hanno valutato l’intensità distinguendo tredici diverse categorie di odore. I campioni sono stati inoltre analizzati chimicamente, consentendo di isolare ciascun componente e determinarne l’origine. Combinando questi metodi, i ricercatori sono riusciti a stabilire se una sostanza odorosa provenisse direttamente dall’oggetto archeologico, dai materiali di conservazione, dai pesticidi applicati successivamente o dal naturale deterioramento del reperto nel tempo, causato da muffe, batteri e altri microrganismi. Uno degli obiettivi della ricerca è la riproduzione di questo odore all’interno degli spazi museali dedicati a questo tema, in modo da permettere ai visitatori di vivere un’esperienza più immersiva.

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