Le devastanti alluvioni e frane dell’estate 2024, che hanno colpito duramente il Ticino, la Mesolcina e il Vallese causando ingenti danni e la morte di almeno dieci persone, avevano già riportato l’attenzione pubblica e politica sulla vulnerabilità della Svizzera di fronte ai pericoli naturali. Eppure, meno di un anno dopo, la frana che ha distrutto il villaggio vallesano di Blatten ha scompaginato le carte.
Come è possibile che, nonostante decenni di prevenzione e monitoraggio, un evento del genere non fosse previsto? Perché le carte dei pericoli naturali non segnalavano alcun rischio in quell’area?
Secondo il geologo e mineralogista bernese Hans-Rudolf Keusen, intervistato dall’agenzia Keystone-ATS, la risposta sta nella rarità dell’evento: le mappe tengono conto di fenomeni con una probabilità di accadimento fino a una volta ogni 300 anni. La frana di Blatten, invece, rientra tra quei rischi “residui” estremamente rari, difficili da prevedere e da rappresentare cartograficamente. Non si tratta quindi di una svista, ma di un limite intrinseco degli strumenti attuali.
Negli ultimi trent’anni, la Svizzera ha compiuto progressi significativi nella prevenzione. Dopo la frana di Randa, Vallese, nel 1991, i Cantoni sono stati obbligati a redigere carte dei pericoli e oggi molte aree a rischio sono dotate di sistemi di allerta precoce. Tuttavia, il cambiamento climatico sta alterando gli equilibri: l’aumento delle temperature e delle precipitazioni estreme rende più frequenti e imprevedibili frane, colate detritiche e smottamenti.

I massi della frana di 30 anni fa sono fotografati dietro il villaggio di Randa martedì 30 marzo 2021.
Ticino e Grigioni: territori sotto osservazione
Anche il Ticino e i Grigioni sono territori particolarmente esposti. I Denti della Vecchia, che sovrastano la Capriasca, hanno registrato un crollo significativo poche settimane fa, mentre in alta Valcolla la strada cantonale è stata chiusa per rischio frane. La regione del Locarnese, in particolare la Val Bavona e la Vallemaggia, è costantemente monitorata dopo i danni dell’estate scorsa.
Nei Grigioni, il caso di Brienz è emblematico: il villaggio è stato completamente evacuato per il rischio di una valanga di roccia e la montagna sovrastante è oggi una delle più monitorate d’Europa, secondo il comune di Albula/Alvra. Anche in Val Bregaglia resta sotto osservazione la frana del 2017 a Bondo, che causò otto vittime, quando circa tre milioni di metri cubi di roccia si staccarono dal suo versante settentrionale. A titolo di confronto, a Blatten sono stati 3,5 milioni. Altre zone a rischio includono la Mesolcina, Thusis, Splügen, Pontresina e Poschiavo.
Un rischio diffuso e in evoluzione
Secondo un’analisi delle carte cantonali svolta dalla Zürcher Kantonalbank, una casa su sei in Svizzera si trova in una zona minacciata da pericoli naturali, con il rischio maggiore rappresentato dalle inondazioni. Nei cantoni di Glarona, Vallese, Grigioni e Ticino, la percentuale di edifici esposti è particolarmente elevata.
Il cambiamento climatico aggrava la situazione. Il disgelo del permafrost, osservato con crescente frequenza dagli anni 2000, rende le montagne più instabili. “L’acqua penetra nelle fessure della roccia, accumula pressione e può innescare frane”, spiega Keusen. Tuttavia, l’esperto invita a non generalizzare: non è il permafrost in sé a tenere insieme le montagne, ma la struttura della roccia.
Prevenzione avanzata, ma non infallibile
Nonostante tutto, la Svizzera è considerata un modello nella gestione dei pericoli naturali. “Oggi registriamo pochissimi decessi legati a questi eventi”, sottolinea Keusen. Ma la frana di Blatten dimostra che anche un sistema avanzato non può garantire la sicurezza assoluta.
Non è quindi più solo questione di prevedere: oggi serve anche sapersi adattare. Il cambiamento climatico impone nuove strategie, perché eventi come quelli di Blatten e Brienz non sono più eccezioni isolate.

Blatten, riaperta la strada d'accesso alla valle
Telegiornale 07.06.2025, 20:00