L’esercito israeliano ha aperto un’inchiesta sui fatti che martedì, nel sud di Gaza, hanno portato alla morte di 27 civili palestinesi nei pressi dei centri di distribuzione degli aiuti umanitari. Tel Aviv ha confermato sia l’azione militare sia di aver sparato colpi di avvertimento in direzione di alcuni individui considerati sospetti, perché avevano lasciato il percorso segnalato, tuttavia ha negato di aver ucciso civili. Insomma, una situazione confusa, anche se alcuni testimoni puntano il dito contro Israele e le principali organizzazioni internazionali si dicono allarmate dalla situazione. E proprio in questa confusione, martedì sera, ai microfoni della RSI, Ignazio Cassis ha sostenuto la versione di Israele. Le sue parole - e più in generale la morbidezza del Consiglio federale nei confronti dello Stato ebraico - stanno suscitando non poche perplessità in Parlamento.
“Se loro affermano di avere sparato in aria e non sulla folla non possono essere stati quegli spari a essere arrivati sulla folla”. Queste alcune delle parole di Ignazio Cassis che hanno suscitato le reazioni della politica.
Non è chiaro ancora cosa sia successo nei dettagli, ma per Carlo Sommaruga, consigliere agli Stati (PS), è inaccettabile che un consigliere federale riprenda la posizione di Israele senza aspettare ulteriori verifiche. “Quali sono le relazioni personali che può avere il signor Cassis con esponenti del governo israeliano per riprendere elementi di linguaggio di questo Stato. Ci sono testimonianze, c’è l’ONU che dice chiaramente che sono stati i militari israeliani a sparare sulla folla. Lui è capace di negarlo. Questo non è possibile, sono indignato, è una vergogna per la Svizzera”.
Più cauto Alex Farinelli, consigliere nazionale (PLR, lo stesso partito di Cassis). “Le dichiarazioni probabilmente sono state fatte in un momento senza nemmeno tutte le informazioni a disposizione, dal mio punto di vista. Se effettivamente fosse confermato che l’esercito israeliano ha sparato su civili che stavano cercando di avere del cibo, questo andrebbe condannato in maniera chiara, senza se e senza ma. È chiaro che in questi momenti concitati, in cui arrivano molte informazioni, bisogna fare molta attenzione a quello che si dice, perché il fraintendimento è subito dietro l’angolo”.
Sulla stessa linea anche Elisabeth Schneider-Schneiter, consigliera nazionale (Il Centro). “È difficile trovare le parole giuste. La situazione è pesante, i fronti sono furiosi da entrambe le parti. È un conflitto che dura da decenni e trovare soluzioni è difficilissimo. Per me è molto centrale che la Svizzera porti avanti i suoi buoni uffici”. Buoni uffici a cui si appella il Consiglio federale per proporsi come mediatore e rispettare la neutralità. “Non si tratta di criticare un consigliere federale ma di impegnarsi per fare in modo che la Svizzera fornisca aiuto umanitario e che si ritagli un ruolo di mediatrice”, sottolinea Elisabeth Schneider-Schneiter.
In questo momento però a Gaza l’urgenza numero uno è la crisi umanitaria. Ne è convinto Piero Marchesi, consigliere nazionale (UDC) che recentemente ha abbandonato il gruppo d’amicizia Svizzera-Israele. “Aldilà di chi ha sparato o meno, che è una cosa gravissima, bisogna però concentrarsi per permettere alla popolazione di Gaza di ricevere gli aiuti umanitari. Quindi mi aspetto che il Consiglio federale faccia pressione sul Governo israeliano per permettere che questo avvenga”. Pressioni che finora sono giudicate insufficienti. “Il problema è che se aspettiamo che Hamas liberi gli ostaggi, come richiesto da Israele per permettere a Israele di fare entrare i camion degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, credo che questa sia una strategia che non sta assolutamente in piedi, perché ad Hamas, che è un gruppo terroristico, di fatto non interessa nulla della sua popolazione”, dice Marchesi.
Opinioni, critiche e spunti di riflessione rivolti ancora una volta al Consiglio federale, che si aggiungono ai tanti appelli politici e della società civile, che in queste settimane hanno chiesto a Berna una posizione più dura nei confronti di Israele.