Perché privilegiare la tedesca Siemens a scapito della svizzera Stadler Rail, se la differenza di prezzo era minima (18 milioni)? È una domanda che fa discutere politici ed esperti dopo che le FFS hanno annunciato venerdì scorso la decisione di affidare al conglomerato germanico l’incarico di fornire 116 treni per le S-Bahn di Zurigo e della Romandia, al prezzo di 2,1 miliardi di franchi.
L’azienda turgoviese sta valutando il ricorso, mentre le critiche piovono da sinistra e da destra, passando... dal Centro del consigliere nazionale Gerhard Pfister, che su X ha scritto: “Quanto bisogna essere stupidi per non affidare un contratto a un’azienda svizzera modello come Stadler a causa di una differenza di prezzo minima?”. Il consigliere nazionale Thomas Burgherr (UDC) - riferisce il Blick di martedì - ha già promosso un atto parlamentare: vuole sapere dal Consiglio federale se nella gara d’appalto sono stati presi in considerazione gli interessi e la situazione occupazionale dell’industria svizzera. Il collega verde liberale argoviese Matthias Jauslin intende invece portare il tema nella Commissione della gestione. “Non voglio insinuare che le FFS non abbiano rispettato la legge sugli acquisti pubblici”, scrive X. Il 63enne si chiede però se l’azienda abbia sfruttato appieno il suo margine di manovra. “Questa decisione delle FFS è di basso livello”, afferma Pierre-Yves Maillard, consigliere agli Stati socialista e presidente dell’Unione sindacale svizzera, in dichiarazioni riportate dal Tages-Anzeiger. Critico anche il sindacato Unia (“decisione incomprensibile”), mentre l’unico a distanziarsi è il SEV, il sindacato del personale dei trasporti, per il quale “ci sono regole da rispettare”.
Secondo il direttore delle FFS, Vincent Ducrot, interpellato da SEIDISERA della RSI, il margine di manovra era nullo e la scelta è stata “matematica”.
E cosa dicono queste regole? “Se si vuole verificare se i fornitori nazionali possano essere favoriti, non bisogna considerare solo il diritto svizzero in materia di appalti pubblici, ma anche i relativi accordi internazionali”, ha spiegato sempre al Tages-Anzeiger Marc Steiner, giudice del Tribunale amministrativo federale (TAF). In primo piano figura in tal senso l’accordo sugli appalti pubblici dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Steiner non si pronuncia però sul caso specifico. Lo ha fatto invece Rika Koch, professoressa presso la Scuola universitaria professionale di Berna. “Un bonus nazionale per favorire l’economia locale non è compatibile né con il diritto degli appalti pubblici né con gli accordi internazionali”, dice alla testata zurighese. Le condizioni relative al luogo di lavoro, come la formazione degli apprendisti in loco, non possono essere incluse da FFS nei criteri di aggiudicazione, perché ciò costituirebbe una discriminazione nei confronti delle imprese straniere. Se la Svizzera volesse seguire l’esempio della politica promossa dal presidente americano Donald Trump e assegnare gli appalti secondo il principio “Switzerland First” dovrebbe uscire dall’accordo OMC, afferma la giurista.
Un parere condiviso, a SEIDISERA, anche da Peter Hettich, professore di diritto economico all’Università di San Gallo: “In questi appalti pubblici non c’è nessun margine per privilegiare una ditta svizzera. Si tratta di ambiti nei quali ci siamo impegnati sul piano internazionale a trattare gli offerenti stranieri allo stesso modo.”
Non la vede così Pia Stebler, direttrice di FairPlay Public, organizzazione che rappresenta gli interessi delle imprese svizzere negli appalti pubblici. “Non si tratta di preferenza indigena, ma di trattare le imprese svizzere allo stesso modo di quelle estere. E questo margine esiste, ad esempio applicando il criterio dei differenti livelli di prezzo nei vari Paesi.”
In altre parole: il costo della manodopera, delle infrastrutture eccetera in Svizzera è più elevato e rende tendenzialmente più costose le offerte. Questo si intende con livello dei prezzi, un criterio che l’associazione FairPlay Public è riuscita a far introdurre dal Parlamento nel 2019 nella legge federale sugli appalti pubblici. Iscritto all’articolo 29, ma mai applicato. Ciò che non sorprende il professor Hettich: a suo avviso “il Parlamento sapeva che questo criterio viola gli impegni internazionali della Svizzera. È una legislazione puramente simbolica, che non può essere applicata.”
Per Pia Stebler è una Svizzera che vuole essere allieva modello, mentre altri Paesi non si farebbero troppi scrupoli a privilegiare le proprie imprese. “È possibile che le organizzazioni internazionali si farebbero sentire qualora la Svizzera applicasse questo criterio. Ma diventerebbe un caso per i tribunali, e fino a una decisione chiara si potrebbe continuare ad applicarlo.”
Ci potrebbe però anche il rischio di ripercussioni sulle commesse per le quali aziende svizzere si candidano all’estero, come la stessa Stadler, che di queste gare di appalto ne ha vinte parecchie fra cui una da oltre 4 miliardi per la fornitura di tram in Germania e Austria. Il Tages-Anzeiger fa peraltro presente che Siemens impiega circa 6’000 dipendenti in Svizzera ed è quindi una delle più grandi aziende industriali del Paese. Per Stadler Rail il paragone però non regge. “I treni che vendiamo in Germania vengono costruiti obbligatoriamente nel nostro stabilimento di Berlino”, fa presente un portavoce contattato dal giornale.









