Ticino e Grigioni

200 franchi bastano? No secondo i sindacati

L’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa contro quella che definisce un’iniziativa anti-RSI. Se accettata al voto l’8 marzo, significherebbe la fine di una radiotelevisione che produce sul territorio - La replica dell’USAM

  • 7 minuti fa
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Opinioni a confronto su "200 franchi bastano"

Il Quotidiano 03.12.2025, 19:00

Di: Il Quotidiano-Barbara Raveglia-Michele Trefogli/M. Ang. 

L’Unione sindacale svizzera Ticino e Moesa è scesa in campo mercoledì in vista della campagna contro l’iniziativa “Duecento franchi bastano” al voto l’8 marzo 2026. Se accettata - lo ricordiamo - l’iniziativa prevede meno entrate per la SSR per circa 800 milioni di franchi. Per i sindacati significherebbe la fine di una RSI che produce sul territorio della Svizzera italiana.

“Radio e TV segate a metà non funzionano più. Non è che funzionano a metà”

Già oggi la SSR è confrontata con importanti tagli. Ma a preoccupare maggiormente i sindacati resta l’iniziativa 200 franchi bastano. Se accettata, rappresenterebbe un duro colpo per identità e rappresentatività della Svizzera italiana. L’invito - o l’invettiva - è a “Non lasciar segare a metà la nostra RSI”. “Ci sono radio e televisioni segate a metà, e non funzionano più se sono segate a metà. Non è che funzionano a metà. Per la Svizzera italiana questo è un po’ il destino, perché non si tratta di dimezzare ma si rischia di perdere la produzione sul nostro territorio e quindi perdere la quasi totalità della presenza sul nostro territorio. L’esempio che è stato fatto in queste settimane e che trovo molto calzante è proprio quello della RTR attuale, come prospettiva. E questo preoccupa molto e dovrebbe preoccupare tutta la cittadinanza e tutta la regione”, spiega ai microfoni del Quotidiano della RSI, Riccardo Mattei, segretario regionale Sindacato svizzero dei media (SSM).

“Il Ticino rischia di perdere un migliaio di posti di lavoro”

Un voto favorevole l’8 marzo - insomma - si tradurrebbe in licenziamenti importanti e in una forzata centralizzazione della produzione oltre Gottardo. “Verrà prodotta in gran parte probabilmente a Zurigo, dove verrebbe centralizzato tutto. Qui rimarrebbe un piccolo presidio ma si rischia di perdere professionalità, rilevanza... e anche la voce, perché una radio e una televisione che non sono più sul territorio giornalmente, che conoscono le dinamiche, che sono addentro, che sono vicine... non potrebbero fare lo stesso lavoro che fanno oggi”, sottolinea Mattei.

“Per un franco a Berna, 4 in Ticino. L’indotto? Ogni 2 posti RSI ce n’è uno all’esterno, con oltre 700 aziende”

Pesanti - per UNIA - le conseguenze sull’economia cantonale. “Prima di tutto sono un migliaio di posti di lavoro di qualità che il Ticino rischia di perdere. E sappiamo quanto questo sia importante. È anche un indotto di più di 200 milioni all’anno portato sul territorio. Per un franco di canone che va a Berna, quattro ritornano in Ticino. Sono investimenti essenziali per il Cantone. Si consideri anche che tramite questo indotto, per ogni due posti di lavoro in RSI ce n’è uno all’esterno. Sono più di 700 le aziende ticinesi che sono legate con il loro lavoro giornaliero”, dice Giangiorgio Gargantini, segretario regionale UNIA.

Ma 100 franchi in più nelle tasche delle famiglie non potrebbero fare comodo? “Sicuramente sì. Ed è per questo che dobbiamo portare rispetto a questa spesa. E per questo oggi e durante questa campagna dovremo mostrare quanto questo investimento è importante in termini di protezione della democrazia e in termini di protezione del lavoro e dell’economia in Ticino”, sottolinea Gargantini.

“A prescindere dall’iniziativa il canone sarà ridotto da 335 franchi a 300, con centinaia di posti soppressi”

Di fatto, dopo la decisione del Consiglio federale, l’attuale canone a 335 franchi all’anno, sarà ridotto entro il 2029 a 300 franchi. “Ci sarà quasi un 20% in meno di budget in meno per la SSR. E anche per la Svizzera italiana si sta traducendo e si tradurrà in centinaia di posti di lavoro soppressi. Quindi già c’è una grossa trasformazione in atto a prescindere dall’Iniziativa”, spiega Mattei

Il dibattito è lanciato.

La replica dell’USAM

Tra i sostenitori dell’iniziativa 200 franchi bastano, c’è l’Unione svizzera delle arti e dei mestieri (USAM), che si è battuta soprattutto contro la doppia imposizione per le aziende. A Berna il Quotidiano ha incontrato il suo presidente, Fabio Regazzi, che risponde anche sul ruolo della RSI come rappresentante di una minoranza linguistica.

“Evidentemente siamo consapevoli che questa realtà perderebbe un poco di peso. Però va anche detto che l’iniziativa comunque mantiene la chiave di riparto così come prevista oggi, ovviamente con meno mezzi a disposizione. Però il ruolo di questa minoranza che è il Canton Ticino o in generale i Cantoni dove si parla la lingua italiana, viene preservato”, dice Regazzi..

Non è un autogol colpire un’azienda unica per far risparmiare un poco tantissime altre aziende?

“Il problema è molto semplice. Questa doppia imposizione a cui sono sottoposte le aziende è ingiusta e iniqua ed è stata anche dichiarata anticostituzionale dal Tribunale federale. L’unica possibilità che ci resta per superare o eliminare questa iniquità è quella di sostenere l’iniziativa, anche se comporterà chiaramente dei sacrifici”.

Oggi l’USS dice: la RSI crea un indotto di 200 milioni di franchi sul territorio svizzero italiano. Sono 700 le aziende che ne beneficiano. Quindi significa anche impieghi e persone. Sono cifre importanti. Lei cosa ribatte?

“Sicuramente è una cifra importante, anche se mi permetto di dire che non sono in grado di valutarne la correttezza. È chiaro che questo, come inevitabilmente è sempre il caso in queste situazioni, comporterà un minore indotto. Quando viene a mancare un mercato o viene a mancare un cliente si vanno a cercare delle soluzioni alternative”.

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