Hans Peter Maier è stato condannato all’ergastolo per aver assassinato con venti coltellate Matteo Diebold . “La sua colpa è gravissima”, ha detto poco fa la giudice Giovanna Roggero-Will leggendo la sentenza.
“Un castello di bugie”
La Corte d’appello e di revisione penale non ha creduto all’imputato. “Lei ha mentito su tutto. Per sostenere la sua versione ha costruito un castello di bugie”, ha detto la giudice. Tra Maier e la vittima non c’era una relazione sentimentale, ha ritenuto la Corte.
I motivi della mattanza di Via Sorengo del 10 novembre 2010 sono legati ai soldi affidati da Diebold al 53enne. Una somma che l’omicida non era in grado di restituire (da qui la condanna per appropriazione indebita). “Lei ha deciso di uccidere per evitare le conseguenze derivanti dalla scoperta delle sue malversazioni”, ha evidenziato Roggero-Will. Secondo la sentenza Maier ha pianificato lucidamente l’uccisione dell’amico e l’ha eseguita senza pietà. Poi ha simulato un teatro per far credere che fosse un delitto d’amore. A Maier non sono state riconosciute attenuanti e alcuna scemata imputabilità. I congiunti della vittima saranno risarciti.
La Corte ha fatto sua la tesi del procuratore pubblico Moreno Capella. In requisitoria aveva chiesto la condanna all’ergastolo. La difesa, rappresentata dall’avvocato Carlo Steiger aveva chiesto la riqualifica del reato in omicidio intenzionale.
Da.Pa.
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Hans Peter Maier
Hans Peter Maier si aggiusta la cravatta, accavallando per l’ennesima volta le gambe. Si accarezza l’abito, elegante e stirato prima di appoggiare le dita sulla guancia, sfidando lo sguardo dei giurati chiamati a decidere di lui. Poi l’assassino di via Sorengo, afferra la penna e prende qualche appunto su un quaderno arancione. Appoggia il mento sul pugno, quasi a curare la geometria del suo corpo. Non sbuffa. Se lo fa è in modo sommesso. Appena intuisce quale sarà il senso del verdetto, rimane impassibile. Sono i gesti che ha ripetuto fin dall’inizio del processo che lo vede accusato dell’assassino della persona che gli aveva affidato 200'000 franchi, l’eredità di famiglia. Sono i rituali di un narciso che, dopo aver pugnalato una ventina di volte, la persona che diceva d’amare, si preoccupa di ripulire gli schizzi di sangue sul pavimento e sul muro perché, come ha detto in aula lui stesso, “non potevo pensare che qualcuno vedesse l’appartamento in quello stato”.
“Devi bruciare all’inferno, maledetto. Devi morire all’inferno”. Sono le parole che l’ex compagno di Matteo Diebold ha urlato nei corridoi del tribunale ad Hans Peter Maier, il 53enne tedesco che ha ammazzato con venti coltellate l’uomo che amava. Parole trattenute fino all’ultimo, nascoste dalle lacrime alla lettura del verdetto e pronunciate pochi istanti dopo che l’assassino di via Sorengo ha lasciato l’aula, impassibile e condannato all’ergastolo anche in secondo grado. Nessuna delle parti intervenute al processo d’appello per l’efferato delitto di Besso ha voluto commentare la sentenza. La difesa, rappresentata dall’avvocato Carlo Steiger, non si è espresso per rispetto dei congiunti e valuterà con il suo assistito se ricorrere contro la sentenza al Tribunale federale. Il legale della famiglia, l’avvocato Mario Postizzi, non ha preso posizione. Non c’è stata dichiarazione nemmeno del procuratore pubblico Moreno Capella, come vuole la prassi.