Ticino e Grigioni

I ticinesi fermati al Cairo: “C’era un sentimento di paura”

Le testimonianze di tre giovani che hanno preso parte alla “March to Gaza” bloccata dalle autorità egiziane: “Ma non è una sensazione di fallimento”

  • Oggi, 18:44
  • 2 ore fa
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La (non) marcia verso Gaza, il racconto dei ticinesi

SEIDISERA 20.06.2025, 18:00

  • Keystone
Di: SEIDISERA/Lara/Spi 

Al valico di Rafah non sono arrivati, ma la loro “non è una sensazione di fallimento. È una sensazione di aver dato il nostro piccolo contributo alla creazione di un movimento globale in favore e in difesa del popolo palestinese”.

SEIDISERA, a Tremona, ha incontrato Simone Buzzi e suo cugino Elia Mattei, che durante la loro permanenza in Egitto hanno fornito alla RSI aggiornamenti costanti sulla marcia globale verso Gaza, una manifestazione pacifica poi bloccata dalle autorità locali. Con loro c’è anche Nevia Elezovic, che si è unita al gruppo di 8 attivisti rientrati mercoledì in Ticino: “È un misto tra frustrazione e speranza”, dice la giovane . “Io sono partita un po’ naïf, ma poi ho incontrato molte altre persone che invece erano più realiste, soprattutto per quanto riguarda le restrizioni da parte del governo egiziano. Ma questo non significa che non potevamo e non dovevamo tentare, anzi”.

Il sentimento è condiviso da tutti. Simone rievoca il mix di sensazioni all’arrivo al Cairo. Il suo bagaglio perso, i controlli minuziosi. “C’era un sentimento di paura - racconta al microfono di Romina Lara -. Abbiamo dovuto passare due o tre punti di controllo del passaporto e io ero vestito da turista. Questa è stata forse la miglior strategia che mi ha fatto passare i check-point”.

I due cugini ripercorrono gli spostamenti in taxi, la scelta di hotel un po’ più costosi, fino al dietrofront forzato sulla strada verso il Sinai, dove due check-point hanno bloccato la possibilità di proseguire le proteste filmate con i telefonini. “Forse il momento più difficile sono stati quei cinque minuti in cui abbiamo dovuto decidere se rimanere al check-point o se rientrare dopo che il capo della delegazione svizzera ci ha detto: ‘Se rimanete ora, verrete semplicemente rimpatriati e il vostro contributo qui in Egitto finisce oggi’”.

La fortuna, aggiunge Nevia, è stata avere un autista che li ha aspettati. “Noi otto avevamo un pulmino con questo autista del luogo che ci ha aspettati per ore. Alla fine la scelta è stata tornare con lui, cosa che tantissimi altri attivisti non hanno potuto fare. Perché sono arrivati in taxi e i taxi poi se ne sono andati”.

I tre giovani raccontano anche della solidarietà che hanno percepito dalla gente del posto. “È stato interessante quando eravamo sull’autostrada vedere i camionisti passare. Suonare il clacson per noi, quindi anche loro a favore di una difesa dei diritti palestinesi. Quando poi dicevamo loro scendete, facevano il segno delle manette”.

Tornati al Cairo con la speranza di una nuova azione, le cose poi sono andate però scemando. “Il potere dello Stato repressivo ha avuto la meglio”, dicono. “Noi abbiamo avuto la grande fortuna di non esserci fatti confiscare il passaporto, di non essere stati presi in raid notturni nei nostri Airbnb, quindi di non essere stati arrestati, cosa che invece è successa alla stragrande maggioranza dei partecipanti. Il capo delegazione svizzero l’hanno aspettato davanti al suo hotel con la sua compagna, lei l’hanno rispedita su un aereo, di lui invece per 24 ore non si hanno avuto notizie”.

Il gruppo di ticinesi è stato invece risparmiato. “Anche per le scelte che abbiamo fatto una volta che abbiamo visto i primi momenti di violenza. Quindi c’è un misto di fortuna e buonsenso. Forse dentro di me anche un po’ di codardia, ma questa è una mia interpretazione verso me stessa, non verso gli altri componenti del gruppo”, puntualizza Nevia.

Lo scopo della marcia, ricorda Elia, era fare pressione sui governi per indurli ad agire contro quello che per i tre attivisti non si può che definire in altro modo, se non un genocidio che l’escalation tra Israele e Iran sta ora mettendo in ombra. “L’ho vissuta in un bar egiziano quando alla televisione hanno mostrato le immagini dei primi missili lanciati da Israele. Ho percepito, anche da parte delle persone che erano nel locale, il disappunto, l’ennesima frattura del cuore”.

Ma l’impegno prosegue e all’orizzonte ci sono già altre manifestazioni, a partire da quella di sabato a Berna. “Saremo presenti e vorremmo lanciare un appello a tutti. Venite anche voi”. La Global March to Gaza, assicurano, “non è finita. Anzi, è appena cominciata”.
                

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