Qual è il “segreto” degli studenti ticinesi che si sono brillantemente distinti nell’indagine PISA (Programme for International Student Assesment) che a cadenza triennale valuta le competenze dei e delle 15enni dei paesi membri dell’OCSE? Sono tre le ipotesi, secondo Emanuele Berger, direttore della Divisione della scuola del Dipartimento dell’educazione, della cultura e dello sport. “La prima è che abbiamo un sistema inclusivo. Da quando c’è PISA ad avere i migliori risultati sono i Paesi, penso alla Scandinavia ma anche al Canada, che hanno dei sistemi scolastici inclusivi”, dice Berger ai microfoni della RSI.
La seconda ipotesi, continua il direttore della Divisione della scuola, “è che da anni noi lavoriamo sulla didattica per competenze. PISA non è un test sulle nozioni, ma proprio costruito sulle competenze, perché è una ricerca internazionale e non può lavorare sui programmi dei singoli Paesi”. E la terza ipotesi? “Più che un’ipotesi, è il lavoro dei docenti. Perché penso che siano loro il fattore chiave di questo successo”.
Altre campane, sostengono invece che proprio l’inclusività farebbe da freno ai migliori. “I dati dicono il contrario - rileva Berger -. I risultati che oggi stiamo commentando dimostrano che un sistema equo non è un sistema che penalizza. Se si vanno a vedere i dati un po’ di fino, vediamo che anche gli allievi migliori hanno risultati migliori degli allievi di altri paesi. Quindi tutto è coerente”.
C’è poi la correlazione tra livello socio-economico del ragazzo e i risultati che “esiste anche in Ticino”, dice Berger -. Ciò significa che se uno parte da una famiglia svantaggiata fa più fatica a riuscire bene. Anche se poi nel paragone internazionale o anche nazionale si vede che da noi influisce meno”.
Per smussare queste differenze, che comunque esistono, il direttore della Divisione della scuola sostiene che si possono dare risposte sia di tipo strutturale sia didattico. “Bisogna evitare il più possibile quella che si chiama segregazione, che è una brutta parola, o comunque la distinzione per esempio in livelli. La sperimentazione che stiamo facendo di superamento dei corsi A e B va in questa direzione. Però questo ha dei risvolti didattici, non si può dire semplicemente cambiamo il modello”. Il fatto, per esempio, “di poter lavorare in classi piccole, con metà classe, quelli che chiamiamo laboratori, permette di avere un rapporto fra docenti e allievo molto più stretto e quindi di poter aiutare di più gli allievi più deboli ma anche quelli più forti”. I primi, ancora informali, riscontri, conclude Berger, “indicano che i ragazzi più deboli in aula sono molto più attivi, molto più motivati e disposti anche a rischiare di sbagliare e a interagire con i docenti e con gli altri”.

PISA promuove la scuola ticinese, ma...
Il Quotidiano 05.12.2023, 19:00