Ticino e Grigioni

Norman Gobbi: “Il sistema funziona, ma il Ticino chiede aiuto”

In occasione della fine dell’anno, il presidente del Consiglio di Stato ticinese fa il bilancio del suo terzo mandato: sfide, critiche, priorità future e il peso delle iniziative sulle casse malati

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Norman Gobbi fa il bilancio del suo terzo mandato
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Gobbi, che anno è stato

Il Quotidiano 31.12.2025, 19:00

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Di: SEIDISERA - Nicola Lüönd / AC 

Il presidente del Consiglio di Stato ticinese Norman Gobbi è al suo terzo mandato. Nella chiacchierata di fine anno con Nicola Lüönd ai microfoni di SEIDISERA della RSI, Gobbi si è espresso su vari temi: da quelli legati all’applicazione delle due iniziative sui premi delle casse malati accolte in votazione a fine settembre, a quelli più personali, come l’”arrocchino” in casa Lega e il caso Hospita.

Qual è il suo principale motivo d’orgoglio e quale invece il motivo di cui non va granché fiero?

“Ogni presidenza ha la sua particolarità: la prima è stata una scoperta, la seconda è stata contraddistinta dal Covid e questa dalle sfide affrontate come Governo. Sfide che sono sempre più complicate e che devono rispondere a una società che evolve e che ha bisogno di reti di protezione. Spesso diamo per scontato che la quotidianità sia garantita. Credo, quindi, che il primo grande successo sia che il sistema funziona, nonostante tutte le discussioni, tutte le preoccupazioni: il trasporto pubblico va, le scuole vengono garantite, ci prendiamo cura dei nostri anziani, l’economia gira e il Ticino è un paese sicuro”.

Questo per quanto riguarda le vittorie, per quanto riguarda le sconfitte?

“Talvolta comunichiamo troppo poco questa quotidianità perché è quella che fa stare in piedi il Paese. Lo fa funzionare e permette di garantire benessere, nonostante le sfide. Le sfide che sono però state lanciate con un grido d’allarme e di aiuto dai ticinesi il 28 settembre rappresentano quelle più importanti davanti a noi. Non l’ho vista come una sconfitta ma come, appunto, un grido d’aiuto che i ticinesi hanno lanciato al mondo politico ticinese”.

Tra gli obiettivi e le priorità che lei ha segnalato ad aprile, all’inizio del suo nuovo mandato presidenziale, c’era anche quello di migliorare, ad esempio, i rapporti fra Comuni e Governo. “Ticino 2020” è in fase di ridefinizione completa. Ci sono i sindaci delle maggiori Città che chiedono di non essere sovraccaricati di oneri ulteriori. In questo senso, i suoi primi otto mesi non hanno raccolto quello che lei pensava di raccogliere?

“È un percorso che stiamo facendo insieme, passato anche attraverso il raggiungimento di un Ticino a 100 Comuni questa primavera. Dall’altra parte, però, in parallelo stiamo dialogando con i Comuni per capire come meglio strutturare il rapporto tra Cantone e Comuni, nell’ottica di essere più rapidi nel rispondere a un mondo che va sempre più veloce”.

Prima lei ha detto che fondamentalmente “dovremmo comunicare meglio”. Ma comunicare attraverso, ad esempio, “Il Mattino della Domenica” è un modello, secondo lei? Perché è quello che è successo sia con l’”arrocchino”, sia quando si è trattato di portare le prime soluzioni circa le due iniziative sulle casse malati e la loro applicazione.

“Talvolta, quando si palleggia troppo, bisogna tirare un gol. Ogni tanto bisogna tirare un gol con qualche guizzo, anche non dal punto di vista protocollare corretto. Questo nell’ottica di dare dinamica a un gioco che troppo spesso viene ingessato”.

Che tipo di reazioni ha avuto anche, magari, dai colleghi su queste uscite che si sono ripetute la domenica?

“Sono reazioni sul momento, ma che poi si spengono lì, fortunatamente. Alla fine, quel che conta è il lavoro che si fa insieme. Succede troppo spesso, in questo cantone, che ci si concentri molto di più sulla forma che sul contenuto”.

Alcune disavventure che l’hanno vista coinvolta - il caso Hospita, l’”arrocchino” stesso, le code giudiziarie legate all’incidente automobilistico - non hanno rischiato di condurre il presidente del Consiglio di Stato a occuparsi meno del perno della politica, che sono i contenuti?

“Questo è stato un gioco tra i media e parte della politica, mi permetto di dire. Talvolta sono questioni che esulano dall’attività del Consiglio di Stato, talvolta riguardano una persona come cittadino privato e talvolta riguardano più, anche qui, la tempesta in un bicchiere. Si è voluto sottrarre tempo al Consiglio di Stato, incaricandolo di cose che nemmeno gli competevano. Se penso al caso Hospita, è stata la Lega - e in quel momento ero io coordinatore - a essere vittima di una situazione che nessuno aveva voluto”.

Quindi sono state delle tempeste in un bicchiere dal suo punto di vista?

“Sono state tempeste in un bicchiere, perché spesso in Ticino tutto diventa un caso politico. A volte ingigantiamo i problemi e ci concentriamo troppo poco su quelli veri, che dobbiamo affrontare insieme come mondo politico, come Consiglio di Stato, come Parlamento, come società civile. Penso alla necessità di recuperare il potere d’acquisto a favore delle famiglie ticinesi e dei ticinesi”.

Guardiamo al futuro. Ha ancora quattro mesi come presidente: quali saranno le sue priorità? Faceva allusione all’applicazione di queste due iniziative che pesano come dei macigni anche per il loro peso finanziario. È davvero la sfida che attende lei e il Consiglio di Stato?

“Il Consiglio di Stato farà delle proposte, poi competerà al Gran Consiglio decidere se andranno bene. Saranno proposte che vogliamo costruire insieme nei primi mesi del 2026, nell’ottica di garantire una soluzione transitoria per il 2027. Poi, semmai, anche l’eventuale nuovo sistema, perché a fronte di nuove sfide ci vogliono anche nuove soluzioni, a mio modo di vedere. Questa decisione sarà frutto di un processo di condivisione e di costruzione. Ritengo che è poco sostenibile pensare che la soluzione che uscirà avrà solo un colore. Oggi ci vuole più capacità di compromesso”.

C’è il Governo, c’è il Parlamento e c’è la piazza. Lei apprezza molto andare fra la gente, avere il contatto. Percepisce un senso anche di frustrazione e un po’ di paura, frustrazione sociale, di irrequietezza che serpeggia fra la gente, proprio perché ha a che fare magari con una situazione salariale, il potere d’acquisto che sta, non dico, uscendo dai canoni del controllo, ma poco ci manca?

“C’è un malessere, questo sì. Ma c’è anche la comprensione sul fatto che non si può cambiare tutto da un giorno all’altro. Quindi c’è comprensione per quello che si sta cercando di fare con le risorse che abbiamo. Trovare delle soluzioni è un problema reale, quindi la perdita di potere d’acquisto è un impegno che ci siamo assunti. Dobbiamo però trovare la condivisione e la capacità di compromesso dalle parti coinvolte: pensare di portare una soluzione tout court che non tenga conto di un sistema globale, che è la garanzia di servizi di qualità sul nostro territorio da Bedretto a Pedrinate, e la necessità di garantire un equilibrio fiscale che al di là di tutto i ticinesi hanno chiesto, ma anche di non incidere troppo dal punto di vista fiscale”.

Norman Gobbi, per chiudere una qualche domanda con risposte telegrafiche. Le chiedo innanzitutto se siamo pronti anche per un quarto mandato presidenziale?

“Questo dipenderà prima di tutto dal popolo, ma il sottoscritto è sempre motivato. Lo abbiamo dimostrato anche mettendoci in gioco, cercando un cambio completo di dipartimenti”.

Lo ammetta: si sta meglio senza il doppio cappello di Consigliere di Stato e coordinatore della Lega?

“È meno complicato. In quel momento era importante garantire una guida al movimento”.

Ma lo rifarebbe?

“Sicuramente sì, perché la Lega senza una guida sarebbe stata una Lega ancora più in difficoltà e questo credo che sia quello che il movimento ha voluto evitare. Ed è stato evitato”.

Detto che ci sono dei sogni ticinesi, esistono ancora anche dei sogni bernesi nella sua testa?

“Davvero, in questo momento mi concentro sul Ticino e sul bene dei ticinesi”.

Lei ha spedito un biglietto d’auguri natalizio. Sull’albero stilizzato, nessuna boccia di Natale ma una bandiera rossocrociata. Proprio non riesce a rimanere senza.

“Se il Ticino ha scelto di essere libero e svizzero è perché davvero ci sentiamo liberi e svizzeri. Però dobbiamo sentirci anche svizzeri capiti: è questo uno dei compiti che mi sono assunto e che ci siamo assunti tutti in Consiglio di Stato”.

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Intervista di fine anno a Norman Gobbi

SEIDISERA 31.12.2025, 18:00

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