Dopo quaranta mesi di conflitto si torna – per quanto riguarda la guerra in Ucraina - a colloqui diretti tra le parti, come era stato il caso nella primavera del 2022, per le prime, e finora uniche, trattative dirette fra delegazioni russa ed ucraina, pochi mesi dopo l’aggressione russa.
La speranza è che questa volta ci possa essere un esito positivo. Di certo è che oggi, dopo 1175 giorni di guerra, l’impressione è che ormai, sull’esito di eventuali negoziati, poco pesa il fatto che ci sia un aggressore e un aggredito. E che “giustizia” - così come la intendono gli ucraini - non verrà fatta. Molto lascia pensare che la soluzione sul campo non ci sarà e che occorre quindi rinunciare a parole d’ordine fino ad oggi “irrinunciabili” e alle quali ci si era aggrappati per serrare i ranghi, esaltare i combattenti, rafforzare il patriottismo e – nel caso soprattutto dell’Ucraina – ottenere aiuti per la propria causa.
In parole povere, Putin non conquisterà Kiev e Zelensky non potrà evitare di cedere una parte dei territori ucraini. Negli scorsi giorni si era parlato addirittura di un incontro, in Turchia, fra gli stessi Putin e Zelensky, con il presidente americano Donald Trump, che in questi giorni si trova nella regione, pronto a raggiungerli. Sappiamo ora che Putin in Turchia non ci è proprio andato e che nemmeno Zelensky – che ad Ankara ha incontrato il presidente turco Erdogan – si è recato ad Istanbul, dove invece sono arrivate le due delegazioni russa e ucraina.
Ma, allora, siamo davvero di fronte a una possibile svolta diplomatica, per quanto riguarda l’Ucraina, oppure anche questo sarà l’ennesimo buco nell’acqua e alla fine l’unica voce che si farà sentire – ancora – è quella delle armi?
Ne parliamo con tre ospiti:
Rosalba Castelletti, giornalista de La Repubblica, nostra collaboratrice a Mosca
Davide Maria De Luca, collaboratore RSI a Kiev
Eleonora Tafuro Ambrosetti, ricercatrice senior ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale di Milano
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