Letteratura

Il mondo incantato di Hans Christian Andersen

Dal brutto anatroccolo alle macchine volanti: l’eredità di un visionario a 150 anni dalla sua scomparsa

  • 11 agosto, 08:30
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Di: Red. 

A 150 anni dalla sua scomparsa, Hans Christian Andersen torna a parlarci — non solo con le fiabe che hanno popolato l’infanzia di generazioni, ma con una voce più profonda, più inquieta, più moderna di quanto la sua fama da “favolista” lasci intendere. Dietro il nome che evoca sirenette, soldatini e cigni, si cela un autore poliedrico, ironico, visionario. Un uomo che ha attraversato l’Ottocento con lo sguardo di chi sa vedere la meraviglia, ma anche la ferita.

«Non era soltanto un bravissimo raccontastorie o uno scrittore di fiabe. Era molto di più», ricorda Bruno Berni, traduttore e studioso, intervistato da Natascha Fioretti in Alphaville. E quel “molto di più” è il cuore di Andersen: poeta, drammaturgo, romanziere, viaggiatore, osservatore instancabile del mondo. La sua scrittura, apparentemente semplice, è frutto di un lavoro stilistico raffinato. «La lingua di Andersen è fresca, sciolta, spesso colloquiale. Fintamente colloquiale, perché dietro c’è una ricerca lessicale precisa», spiega Berni.

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Andersen, non solo fiabe

Alphaville 04.08.2025, 11:30

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Arrivato a Copenaghen con il sogno di diventare attore e cantante, Andersen si avvicina al teatro, che resterà una passione costante. Scrive opere teatrali per tutta la vita, attratto anche dal loro potenziale economico. Ma è con le fiabe che conquista il mondo. Eppure, delle 156 storie che ha scritto, solo una manciata è davvero nota. Capolavori come La Vergine dei ghiacci o Una storia dalle dune restano tesori sommersi, romanzi brevi che meritano di essere riscoperti.

Andersen non scriveva solo per bambini. Le sue fiabe sono stratificate, capaci di accompagnare il lettore lungo tutta la vita. Alcune affrontano temi complessi, altre anticipano la fantascienza. In Fra mille e mille anni, immagina turisti americani che visitano l’Europa in macchine volanti: una visione che mescola stupore e tecnologia, sogno e modernità.

La sua versatilità si estende anche alla poesia. Alcune fiabe contengono versi, altre alternano prosa e poesia. Il suo stile romantico, attento alla metrica, può sembrare datato, ma all’epoca era apprezzato e influente. In Le soprascarpe della felicità, ad esempio, Andersen gioca con i registri, mescolando leggerezza e profondità.

Dietro la penna, però, c’era un uomo tormentato. Andersen visse una vita sentimentale difficile, segnata da nevrosi e da un bisogno costante di approvazione. La sua autobiografia, più volte rivista, è il tentativo di controllare la narrazione di sé. Ma la sua opera lo tradisce — nel senso più bello del termine — rivelando una sensibilità acuta, una malinconia sottile, una ricerca di verità che attraversa ogni pagina.

La fiaba La campana, ad esempio, è una potente metafora della ricerca spirituale e intellettuale: solo pochi riescono a raggiungere la meta, e non sempre sono quelli che sembrano più forti. Andersen ci invita a guardare oltre le apparenze, a cercare il senso profondo delle cose.

Oggi, nel pieno di un’epoca di cambiamenti vertiginosi, Andersen ci offre ancora uno sguardo prezioso: incantato ma non ingenuo, poetico ma lucido. La sua opera è un invito a ritrovare la magia nel quotidiano, a immaginare futuri possibili, a non smettere mai di interrogarsi. Come dice Berni, «Andersen è uno scrittore che può accompagnare il lettore per tutta la vita». E forse, proprio per questo, non è mai davvero scomparso.

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