Pare che Tim Berners-Lee abbia sviluppato il World Wide Web per condividere documenti tra i ricercatori del CERN, che Alexander Fleming considerasse la penicillina una curiosità da laboratorio e che Charles Goodyear non concepisse il potenziale del processo di vulcanizzazione da lui scoperto. A confermare che una mente geniale non deve essere necessariamente lungimirante ci pensarono, tra i tanti, anche Auguste e Louis Lumière, due fratelli con la passione per le scienze e la fotografia che, secondo alcune fonti, definirono il risultato delle loro ricerche “un’invenzione senza futuro”.
Il cinema non è nato in una notte. Fu la conseguenza di anni di studio e della lenta convergenza di innovazioni tecniche, culturali e industriali. È però negli ultimi giorni del dicembre 1895 che i due fratelli, ignari della portata delle loro sperimentazioni, organizzarono al Salon Indien del Grand Café di Parigi la prima proiezione pubblica di un film. A onore del vero, si trattava di 10 brevi filmati della durata complessiva di una manciata di minuti, ma bastava a lasciare un segno indelebile nella storia delle arti e dello spettacolo.

Louis e Auguste Lumiere
Si è cercato spesso un precursore, ma tra Edison e Marey, Demeny e Le Prince, furono i fratelli Lumière a regalare al cinema la sua definizione moderna, quella che lo inquadra come una forma di intrattenimento destinata a un pubblico vasto, un rito da svolgersi in uno spazio condiviso al fronte dell’acquisto di un biglietto come atto di partecipazione. Quel primo atto fu segnato da pellicole rimaste nella storia: L’uscita dalle officine Lumière, dove numerosi dipendenti, per lo più donne, escono dalla fabbrica di famiglia dei due inventori; L’innaffiatore innaffiato, nel quale un ragazzino dispettoso calpesta la pompa con cui un giardiniere sta innaffiando le piante, finendo per spruzzargli l’acqua addosso nella prima scena slapstick della storia del cinema; Il salto della coperta, dove un acrobata comandato da un gendarme balza su un telo scavalcandolo. Scene più o meno costruite su misura alle quali si aggiungono semplici scenari cittadini o marittimi, dividendo, o confondendo fin dalla nascita, la linea sfumata che separa la realtà dalla finzione.
Riunendo in un’unica macchina le funzioni di ripresa e proiezione, il cinematografo si impose in breve tempo come mezzo ideale, portando alla standardizzazione industriale del cinema per i decenni a venire e imponendosi, quasi nell’immediato, come elemento fondante di un nuovo fenomeno di massa. Nessuno più, da quel fatidico 28 dicembre, avrebbe potuto fare a meno delle immagini in movimento, tanto che persino Robert Musil dichiarò che “chiese e luoghi di culto non sono riusciti, in svariati millenni, a coprire il mondo di una rete così stretta come quella creata dal cinema in trent’anni.” Un’impresa famigliare tramutata in industria mondiale che, già nei primissimi anni Dieci, iniziava a essere vista come simbolo del progresso, linguaggio universale, strumento d’unione.
Non mancarono fin da subito i detrattori, come i discepoli di Lombroso, che vedendo in ogni nuova invenzione un potenziale veicolo del crimine scorsero nel cinematografo lo strumento del male. Non è un caso che la Lega per la Moralità, fondata da Rodolfo Bottazzi nel 1902, indisse una vera e propria crociata contro il cinema. Un pensiero che, purtroppo, resisterà assumendo svariate sembianze nel corso degli anni a venire, dalle numerose forme di censura ancora in voga ai bigotti codici di comportamento imposti a Hollywood, ma che Louis Salabert sintetizzò nel lontano 1921, descrivendo il cinema come “ispiratore del crimine, propagatore di cattivi costumi, pericoloso anche per la fede…”
https://rsi.cue.rsi.ch/cultura/storia/Il-cinema--1819185.html
Per fortuna, c’era però chi riusciva a scorgere il florido futuro del cinematografo e le sue innumerevoli possibilità. A partire da Georges Méliès, che da bravo illusionista sfruttò la spettacolarità del mezzo; o dai poeti simbolisti, che videro nel cinema il punto di incontro tra le classi sociali; per non parlare del pioniere della critica Ricciotto Canudo, che coniò la definizione di “settima arte” o di chi, come Dominique Braga, descrisse la nascita del cinema come una rivoluzione paragonabile all’invenzione della stampa.
Nel giro di pochi mesi dalla proiezione al Grand Café di Parigi, le troupe inviate dalla maison avevano già raggiunto le città europee, l’Asia, l’Africa settentrionale e le Americhe, con l’obiettivo di catturare il mondo e fermare il tempo, mostrando i risultati di tale “atto magico” a un pubblico sempre più curioso e affascinato. Un cammino lungo 130 anni che si sarebbe scontrato col moralismo più conservatore, con l’avvento della televisione e dei nuovi media, talvolta quasi eclissandosi all’apparire dello streaming, ma che mai ha fatto mancare la propria potenza espressiva.
Travolto dalle nuove forme di intrattenimento, dalla realtà virtuale ai videogiochi, il cinema appare oggi come un mezzo di comunicazione profondamente radicato nel Novecento: forse un po’ malconcio, non più idolatrato, ma ancora capace di parlare con forza. Rileggere la serata del Grand Café con lo sguardo di oggi significa comprendere quanto fosse rivoluzionaria l’idea che un apparecchio meccanico potesse restituire la realtà con tale verosimiglianza. Un evento semplice, quasi dimesso, ma destinato a generare una nuova forma di immaginario collettivo. Da quella piccola sala affacciata sui boulevard, da un lenzuolo teso per accogliere un fascio di luce, il cinema iniziò il suo percorso verso un secolo di rivoluzioni estetiche, tecnologiche e culturali. Ricordare quella prima proiezione significa ripercorrere l’inizio di una storia che continua ancora a sedurci, trasformando il nostro modo di guardare il mondo.

Tra il passato e il futuro del cinema
RSI New Articles 08.01.2021, 17:00
Contenuto audio









