Finita la visione di “Real”, della regista italiana Adele Tulli, si è un po’ frastornati e ci si porta a casa più domande che risposte. Il film, presentato al Locarno Film Festival, offre uno scorcio di diverse vite e del loro rapporto con internet e il mondo digitale.
Da quando internet è entrato a far parte della nostra quotidianità, infatti, ognuno decide di vivere questa nuova parte di esistenza in modi diversi. E le storie che Adele Tulli ci presenta, con un approccio antologico e non giudicante, come in un documentario, sono diversissime tra loro. Ci sono due giovani che, provando avatar femminili in realtà virtuale, capiscono di essere trans e iniziano una relazione online, al riparo dallo sguardo giudicante della società fisica; c’è un fattorino che consegna cibo sempre collegato in streaming con i propri follower; un ragazzo dipendente dai videogiochi che si rivolge a una clinica per disintossicarsi; c’è una ragazza che prima segue un corso di meditazione in Zoom e poi lavora come camgirl dal suo monolocale; e poi vari Youtuber che ammettono di essere depressi e ansiosi a causa della propria attività sul social, ma non riescono a staccare del tutto.
Sono solo alcuni esempi del ricco campionario che Adele Tulli sceglie di mostrarci tramite attori e storie vere. Un campionario che non ha una sola chiave di lettura, ma presenta vari temi comuni. Emerge, prima di tutto, l’idea di mondo virtuale come spazio performativo, che permette di esibire il proprio corpo o il proprio lavoro, oppure di vestire i panni di una persona dell’altro sesso. E quindi performare può significare sia indossare una maschera, nascondere la propria identità e quindi snaturarsi, sia gettare via una maschera e poter essere sé stessi. È un’idea che, già nel 1700, Shakespeare aveva colto, quando diceva che “all the world’s a stage”, e la vita in società è uno spettacolo nel quale ognuno sceglie di recitare come meglio gli riesce. Quello che caratterizza internet è la maggiore libertà nella quale ci si può muovere, lontani da amici e da conoscenti, come in terra straniera. È così che le inibizioni cadono e si possono sperimentare nuove maschere, nuovi abiti, nuove idee, ed essere persone diverse. Nel bene e nel male.
Queste storie nascondono poi anche un profondo disagio: una relazione tra due uomini trans può avvenire solo in un bellissimo mondo virtuale, solo perché l’altro mondo, quello fisico, non li accetta; un videogiocatore accanito perde il contatto con sé stesso e con le persone che lo circondano e si rivolge a una clinica per disintossicarsi dalla sua dipendenza da videogame; un bambino, solo, cerca di fare amicizia con un assistente vocale che fornisce unicamente risposte preconfezionate. Quello digitale, sembrano dirci queste storie, può essere un mondo distopico, quando sostituisce il mondo fisico.
Ma non è questo il messaggio di “Real”. Perché “Real” un vero messaggio non ce l’ha - o, meglio, non si fa portatore di una morale e un giudizio definitivo sulla grande Rete. Perché, sebbene sia un mondo illusorio e artificiale, le storie che si svolgono al suo interno sono, semplicemente, storie reali di persone vere: di qui il titolo del film. Ed è proprio questo l’invito che Adele Tulli sembra consegnarci: la vita online deve essere raccontata proprio in quanto reale; non come fenomeno sociologico, non con freddezza accademica, non col desiderio di decidere, finalmente, se la tecnologia sia un bene o un male. Le storie che vi si dipanano vanno raccontate come qualsiasi altra storia. Le tecnologie digitali, per quanto distopiche o utopiche possano presentarsi dall’esterno, sono inestricabilmente legate alle vite dei suoi utenti. Dietro le maschere, dietro i volti sorridenti, dietro gli avatar, ci sono solo individui che non desiderano altro che trovare sé stessi e un proprio posto nel mondo. E, a volte, può capitare che questo mondo sia fatto di bit.

Cineasti del Presente
RSI Cultura 11.08.2024, 12:30
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