Teresa, la Santa Guerriera
Laser 28.03.2024, 09:00
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«Voglio cercare il mezzo di giungere al Cielo per una piccola via tutta dritta, corta, corta, una piccola via tutta nuova… Le tue braccia, o Gesù sono l’ascensore che mi deve innalzare fino al Cielo».
Questa piccola, semplice, infantile via, Teresa di Lisieux la percorse entrando nell’ordine delle carmelitane scalze all’età di 15 anni per morirvi a 24. Senza fare nulla di straordinario, in apparenza, perché fu grande nel piccolo, Teresa è una delle quattro donne riconosciute ufficialmente come “dottore della chiesa” nel corso della sua storia bimillenaria. Insieme a Ildegarda di Bingen (XII secolo), Caterina da Siena (XIV secolo) e Teresa d’Avila (XVI secolo).
In Storia di un’anima, una sorta di autobiografia, commissionatale da sua sorella Pauline, priora del Carmelo di Lisieux col nome di Agnese di Gesù, la piccola Teresa racconta di una infanzia allegrissima: «Come sono passati rapidamente gli anni luminosi della mia infanzia, ma che dolce segno hanno lasciato nella mia anima!... Tutto mi sorrideva sulla terra; trovavo fiori su tutti i passi, e il felice carattere pure contribuiva a rendermi la vita piacevole».
La grande storia: guerre napoleoniche, Restaurazione, guerra franco-prussiana è la cornice da cui proviene una famiglia dai piccoli gesti. I nonni erano stati militari, e, nel periodo della Restaurazione, si erano stabiliti ad Alençon in Normandia. Entrambi i suoi genitori, invece, avrebbero voluto intraprendere la vita religiosa, ma non fu loro possibile per diverse ragioni. Il padre, Louis Martin, apprende l’arte dell’orologiaio. La madre si getta nella fabbricazione del famoso ricamo, “il punto d’Alençon”, e apre un negozio di successo.
E così l’orologiaio e la merlettaia si sposano, espressione, all’apparenza, della piccola borghesia agiata del tempo, ma vivendo un’intensa vita familiare con una fede testimoniata nelle forme più autentiche, mai punitiva e giudicante, sempre allegra e disponibile verso gli altri. Dal 1860 al 1873 hanno nove figli, di cui sarebbero rimaste in vita solo cinque femmine, delle quali l’ultima, Teresina, avuta a 41 anni.
Una famiglia molto numerosa e aperta, ospitale, accogliente, allegra e solidale. Anche nelle forme meno consuete: nel 1870, anno della fine della guerra franco-prussiana, la famiglia Martin ospita nove soldati tedeschi.
Il padre amatissimo, che Teresina chiamava “il suo Re”, autorevole e ordinato, anima questo euforico gineceo, leggendo autori romantici, cantando arie d’altri tempi, costruendo giocattoli.
La morte di tumore al seno della madre, Zélie Guérin, spezza la felicità di questa vita familiare, idealizzatissima, fatta di complicità fino alla fusionalità: i ritorni in famiglia per le vacanze sono un tripudio di gioia e di allegria, mentre ogni partenza è vissuta come separazione straziante e definitiva. Il tutto enfatizzato da una potente affettività fatta di incontri e distacchi.
«In quel momento capii che la vita non è altro che una separazione continua», scriveva Teresa di Lisieux davanti a una delle tante bare, che si trova a vegliare nella sua brevissima vita.
Separazione e mancanza, onnipotenza, e bisogno di un amore assoluto, insieme alla scoperta della “bellezza del limite” e della fede nella dimensione ordinaria: “ingredienti” che saranno oggetto di molteplici interpretazioni psicoanalitiche novecentesche anche penetranti. Specialmente lacaniane.
Molto graziosa, sempre sorridente, precoce e intelligente, Teresa bambina è sensibilissima e volitiva. Alterna stati di collera a momenti di allegria, di estroversione a malinconia. Molto affettiva è coccolatissima da tutte le sorelle. E soprattutto da Céline, con la quale avrà uno specialissimo e simbiotico rapporto.
Un’apparente infantilismo. Una spiritualità matura
Dettagli deliziosi si trovano nei racconti di questi fortissimi legami tra le sorelle, divenute via-via tali anche nella vita del Carmelo. Inconsciamente o meno, Céline, la più infantile e dolce, travolta come tutte le consorelle dal successo mondiale di Storia di un’anima, eserciterà una specie di monopolio sui manoscritti della sorella Teresina. Ma lo fece, una volta morta la futura santa, attraverso un processo di manomissione dei testi autografi, edulcorati o riformulati: arrivò a tagliuzzare, in piccole striscioline, parte di quei testi da distribuire a mo’ di reliquie. Volle così accreditare, come unico messaggio della sorella, «la via dell’infanzia spirituale… questa la grazia di Teresa, la sua santità, la sua missione: lei sola è l’araldo dell’infanzia spirituale».
Passata alla storia per la sua “via piccola”, quella, appunto, indicata sotto il nome di infanzia spirituale, Teresa ha così faticato a essere compresa dal cosiddetto cattolicesimo adulto, incapace di scorgerne l’abissale grandezza dietro tutto quel repertorio letterario e iconografico, proprio di un romanticismo tardo-ottocentesco esausto e decadente, tra diminutivi, vezzeggiativi, fiorellini e smancerie varie. Anche per questo è meritoria la ripubblicazione dell’edizione di Storia di un’anima, curata da Adriana Zarri nel 1974, e uscita quest’anno per Castelvecchi con prefazione di Teresa Forcades. Nel suo saggio introduttivo Zarri accredita questa tesi affrontando quella che potremmo chiamare una sorta di “questione teresiana”, quando nel 1941 l’abbé André Combes, insigne studioso e futuro perito del Vaticano II, si recò a Lisieux per una disamina scientifica delle opere della giovane santa carmelitana. Secondo Zarri, Combes, sostenuto da madre Agnese di Gesù, fu accolto in un primo momento con affetto e riconoscenza anche da tutte le consorelle, per essere poi fortemente vituperato dalle stesse, viste le sue contestazioni alle manomissioni di Céline (e, indirettamente, all’infantilizzazione regressiva del culto teresiano). Con la conseguente creazione di due correnti – così sempre Adriana Zarri –, l’una rappresentata dalla priora e sorella maggiore di Teresa, che appoggia l’analisi critica di Combes (incoraggiato, nel 1950, dallo stesso Pio XII), l’altra dalle carmelitane in difesa dell’operato di Céline, compiuto comunque in “buona fede”.
Non che l’“infanzia spirituale” non abbia una sua verità. Tutt’altro. Ma solo se intesa nel senso evangelico: «Se non diventerete come bambini…». E non, dunque, nel senso di restare bambini (l’infantilismo), ma di diventare, ritornare, bambini (dopo essere diventati giustamente maturi). La spiritualità delle piccole cose, dell’ordinario, è tutt’altro che infantilismo. È, anzi, la forma più alta e profonda di una spiritualità matura. Questo il fulcro della santità di Teresa: essere santa nelle piccole cose, questa, anche, la sua modernità.
Teresina, una fede matura e consapevole
Nella Storia di un’anima, l’ultimo anno, quello della sua malattia, è un racconto spirituale e letterario potentissimo. Eppure poco valorizzato e compreso dagli studi teresiani, fino in tempi recenti.
Proprio quando ne avrebbe più bisogno, afflitta da una tubercolosi che le toglie il respiro, Teresina «non sente» la presenza di Dio, pur amandolo fortemente. «Vivo nel buio», scrive. Non si concede consolazioni eroiche (come i grandi santi) «non avrei mai immaginato che si potesse soffrire così tanto».
Sono pagine bellissime. Straordinarie nella condizione di ordinaria sofferenza. Altro che romanticismo tardo-ottocentesco esausto e decadente. Teresa Forcades, acuta teologa e monaca del monastero benedettino di Sant Benet de Montserrat, commenta la consapevolezza di questa “santa del piccolo” nella riedizione di Castelvecchi. Sono poche pagine folgoranti, le sue. A mio parere, le parole più belle, tra le tantissime, mai scritte su Storia di un anima. «È la descrizione di una fede priva di sostegni, è la sua risposta d’amore di fronte al silenzio di Dio. Thérèse si fida di Dio, ma nel suo ultimo decisivo anno di vita si fida al buio e fa cadere tutti i luoghi comuni della religiosità infantile, lei, la più giovane delle Sante moderne, la più piccola…non vi è timore servile (paura del castigo) e neppure amore mercenario (attesa della ricompensa). C’è soltanto amore gratuito, libero… Era un’amante creativa e libera, capace di felicità». La spoliazione dell’io non retorica e moralista ma libera (pag. 235), la paura della paura della morte (pag.240): la capacità si stare nel dolore, nel momento presente, come nei sentieri di montagna, senza guardare la vetta in alto, né il burrone in basso. Ma i propri piedi, un passo dopo l’altro.
Rileggendo oggi Storia di un’anima, capisco ancora meglio perché – nel mio stupore di cristiana adulta – un grande maestro della spiritualità buddista contemporanea quale Corrado Pensa, mi avesse consigliato di leggere il capolavoro teresiano, quando ebbi un gravissimo tumore vent’anni fa.