Nessuna riforma clamorosa, nessun gesto plateale, nessuna intervista virale. Nei suoi primi cento giorni di pontificato, Papa Leone XIV sembra non aver fatto nulla. Eppure, è proprio in questa apparente inazione che si delinea con chiarezza la direzione di un pontificato che, silenziosamente, sta prendendo forma. Dopo l’energia dirompente di Papa Francesco, il Papa delle periferie, delle frasi spiazzanti e dei gesti rivoluzionari, il nuovo vescovo di Roma, Francis Robert Prevost, missionario statunitense cresciuto pastoralmente in Sud America, ha scelto una via più pacata, fatta di ascolto, contemplazione e piccoli segnali. Non si tratta di un cambio di rotta, ma di un passaggio di testimone: una continuità più matura, che evita la frenesia del cambiamento per lasciare che i semi piantati da Francesco trovino spazio e tempo per germogliare. Leone XIV è stato voluto proprio da Francesco alla guida del dicastero per i Vescovi, un incarico che l’ha portato a conoscere in profondità le dinamiche della Chiesa universale e a sviluppare quella sensibilità pastorale che ora, da Papa, sembra voler mettere in pratica con sobrietà e determinazione.
Fin dai primi gesti, il nuovo Pontefice ha dato segnali chiari. La sera dell’elezione, l’8 maggio, affacciandosi dalla loggia centrale della basilica vaticana, ha scelto parole scritte, meditate, evitando l’improvvisazione. Un contrasto netto con il celebre «buonasera» pronunciato a braccio da Francesco nel 2013, che però non suona come un rifiuto, bensì come un invito alla riflessione. È come se Leone volesse dire: adesso è tempo di interiorizzare, di assimilare ciò che è stato avviato. Nelle sue prime uscite pubbliche ha privilegiato i luoghi di preghiera e devozione, come il santuario della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano e la basilica di Santa Maria Maggiore, dove si è inginocchiato davanti alla Salus Populi Romani, nel segno di una fede radicata e silenziosa. Ha sorpreso i fedeli con apparizioni discrete tra le colonne di Piazza San Pietro, benedicendo con semplicità e senza annunci. A questi gesti si sono aggiunte parole misurate ma significative: «La pace sia con tutti voi» è stata la sua prima benedizione, un’eco diretta della missione di Francesco, ma anche un’indicazione chiara sulla sua sensibilità personale.
Nel giorno della Messa d’inizio del ministero petrino, il 18 maggio, ha usato la casula di Giovanni Paolo II e la ferula di Paolo VI, omaggiando simbolicamente due giganti del Novecento ecclesiale e richiamando sant’Agostino e Leone XIII, pontefice della dottrina sociale. In quell’omelia, ha ricordato che la Chiesa deve restare accanto agli ultimi, senza smarrire la propria identità. Il Papa è apparso anche come un uomo aperto alla contemporaneità: ha parlato di intelligenza artificiale come sfida etica e antropologica, e ha accolto in Vaticano atleti di fama internazionale come Jannik Sinner e la squadra del Napoli campione d’Italia, esortandoli a essere modelli di vita integrale per i giovani, capaci di curare corpo, mente e spirito.
Ha già avviato alcuni segnali concreti di orientamento pastorale: la sua prima nomina episcopale è stata quella di un vescovo ausiliare in Perù, segno della sua attenzione per il Sud del mondo. Ha approvato la beatificazione di diciannove servi di Dio, con cerimonie in varie parti del mondo, tra cui Roma, Barcellona e la Polonia. Nessuno di questi gesti è apparso clamoroso o divisivo, ma tutti coerenti con un pontificato che si presenta come una risposta matura ai tempi: poco ansioso di stupire, molto desideroso di capire. In questo Leone XIV appare come un vescovo di Roma che non cerca il riflettore, ma piuttosto la profondità. Non è il Papa dei tweet, ma delle parole ponderate. Ma non è l’antitesi di Francesco, come alcuni hanno superficialmente ipotizzato, piuttosto il custode dei processi avviati, colui che li farà crescere. Anche lui conosce il dolore dei popoli oppressi, l’ingiustizia dei modelli economici dominanti, la fatica della Chiesa nel trovare un linguaggio per il mondo moderno. Ma a differenza del suo predecessore, non alza la voce: abbassa il tono, per farsi ascoltare. Rassicura chi si è sentito smarrito, ma non rinnega chi ha aperto i cammini.
La sensazione è che Leone XIV voglia offrire al mondo una nuova forma di testimonianza: non quella della rottura, ma quella dell’approfondimento. In un tempo che richiede risposte veloci e reazioni istantanee, la sua lentezza è un messaggio controcorrente. È il pontificato dell’assunzione, della sedimentazione, dell’ascolto. E forse, proprio per questo, sarà più duraturo di quanto oggi si possa immaginare.
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Millevoci 24.06.2025, 11:00
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