Cristianesimo

Il Natale nell’era post-cristiana, un ritorno all’essenza

Come la festa più amata rivela il suo significato più profondo, al di là delle credenze infantili

  • Un'ora fa
Un abete decorato con luci davanti al Cervino vicino a Zermatt, nel Canton Vallese, Svizzera, fotografato il 12 dicembre 2010

Un abete decorato con luci davanti al Cervino vicino a Zermatt, nel Canton Vallese, Svizzera, fotografato il 12 dicembre 2010

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Di: Marco Vannini, filosofo

La nascita di Gesù fu posta dalla Chiesa latina al solstizio d’inverno perché in quella data i Romani festeggiavano il Sol Invictus, ovvero il sole che, giunto al punto più basso del suo corso nel cielo, non scompare, ma sembra fermarsi, in attesa, e riprende da allora in poi vigore. Come molte altre, questa festività cristiana prese così il posto di una pagana: Cristo, sole di giustizia, sostituì la precedente divinità astrale. In questi giorni del solstizio tutti provano comunque una sensazione di pace, che invita al raccoglimento, alla meditazione, e non v’è dubbio che la stagione astronomica e meteorologica sia per questo determinante: il tempo sembra fermarsi, la natura appare silenziosa, in ascolto, la vegetazione in attesa di rinascita.

Oltre alla natura, però, contribuisce potentemente a questa sensazione la cultura, ovvero il passato cristiano, la cui influenza continua a farsi sentire nella nostra società post-cristiana. E non meraviglia che sia così: quel passato era infatti ricco, forte, tanto – ad esempio – da dare a un oscuro maestro elementare e a un povero parroco di villaggio l’ispirazione per quella “Stille Nacht”, la cui struggente melodia, colma di nostalgia, muove tutti gli animi alla pace e all’amore, indipendentemente dalla religione.

Si capisce allora come la Chiesa cattolica cerchi di far leva su questo sentimento per cercare di ravvivare quella fede che una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia della salvezza” che da Adamo procede verso Cristo. Oggi, però, dal momento che quella storia appare per ciò che è, una mera costruzione mitico-teologica, la fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più fantasia: una cosa da bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un Bambino, ma soprattutto per i bambini.

La fede è infatti in questo caso una credenza che si difende ignorando la realtà, tanto storica quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa guarda in faccia la realtà, scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente debole e incerto e che perciò cerca “salvezza” nel rimando a qualcosa al di fuori di sé, restando così sempre nell’attesa, nell’anelito. La vera fede non produce affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte, smascherando come menzogna anche l’immaginazione teologica. La fede – scrive san Giovanni della Croce – «non solo non produce nozione e scienza, ma anzi acceca e priva l’anima di qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per l’anima e, quanto più la ottenebra, tanto maggiore è la luce che le comunica». Fede come notte, dunque, ma una notte che, mentre libera da ogni presunto sapere di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di altro ma di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la vera “Stille Nacht, heilige Nacht”, notte silenziosa, notte santa.

La notte in cui Dio nasce nell’umanità è la notte prodotta dalla fede, ovvero il silenzio, il vuoto che l’intelligenza ha fatto nell’anima. Il Natale, riferimento a una nascita del divino nel tempo, ha dunque il senso di ri-cordare, nel suo senso etimologico di riportare all’interiorità, risvegliare nell’anima nostra ciò che le è proprio ed essenziale: il divino che è nel suo fondo più intimo. Questo è il passaggio “aus Historie ins Wesen”, dalla storia all’essenza, come dicevano i mistici tedeschi, ovvero da una verità esteriore, che non ha alcun effetto, a una verità interiore, che salva davvero.

La salvezza non è infatti dal peccato di un altro, Adamo, da cui un altro, Cristo, ti deve liberare, ma da quel peccato davvero “originale” che è l’amore di sé. In te è Adamo, in te è Cristo, ovvero tanto l’amore di te stesso quanto l’amore del Bene, e la salvezza ti appare nella sua realtà, non futura ma presente, non sperata ma reale, quando il bene degli altri ti è caro quanto il tuo, assolutamente, in nulla di meno. Niente può turbare allora la pace dell’anima: non a caso i mistici ripetono la cosiddetta supposizione impossibile: se anche Dio mi destinasse all’inferno, sarei comunque “salvo”.

Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione teologica, ma nel vuoto, nel distacco. Questo è anche il senso profondo della storia che precede e rende possibile la nascita del Figlio, come del resto ogni nascita umana, ovvero la storia della Madre: Maria fu capace di generare il divino per la sua umiltà, per la sua verginità, che non significa una condizione fisica, ma il vuoto fatto in se stessa. Il Logos nasce infatti nell’anima di ciascuno di noi quando essa è come Maria: distaccata, ovvero libera, spoglia di ogni preteso valore e preteso sapere. Il mistico poeta Angelus Silesius perciò recita: «Davvero ancor oggi è generato il Logos eterno! Dove? Qui, se in te hai dimenticato te stesso».

Il mistero del Natale si svela infatti quando si comprende il significato non blasfemo, ma al contrario profondamente spirituale – anzi, esso solo cristiano, senza il quale la religione resta superstizione, la fede credenza infantile – del principio che innerva la mistica: «Tutto quello che la Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino».

Accanto a un Natale storico, nel quale una sola volta, in un solo luogo e in una sola persona, il divino è nato sulla terra, c’è dunque un Natale eterno, per cui, secondo le parole di Origene, il divino si genera nell’anima non una volta soltanto, ma in ogni istante, in ogni luogo e in ogni uomo, in ogni pensiero che egli rivolge a Dio con purezza, in ogni gesto di amore che compie.

Anche se non al solstizio d’inverno, la nascita di Gesù è comunque un evento reale, non un mito. In quanto ha a che fare con realtà profonde ed universali dell’anima umana, il mito riguarda ciò che non è mai avvenuto ma in eterno avviene, come diceva un filosofo pagano, mentre per il Natale noi dobbiamo dire: ciò che è avvenuto una volta e in eterno avviene. Attenzione però: avviene solo se avviene. Perciò lo stesso poeta mistico che abbiamo prima citato lancia al suo lettore un avvertimento terribile: «Nascesse mille volte Cristo in Betlemme, se in te non nasce sei perduto in eterno».

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