Cristianesimo

Meister Eckhart e Tommaso d’Aquino, due vie per il divino

Quando il distacco diventa dottrina e il pensiero si fa eterno: due domenicani, due visioni di Dio

  • 1 settembre, 14:00
  • Oggi, 16:33
Dante Dorè.jpg

Un'illustrazione di Gustave Doré del paradiso dantesco, che raffigura la visione mistica delle anime beate

  • IMAGO / Artokoloro
Di: Marco Vannini, filosofo

«La natura del vero è quella di farsi largo quando è arrivato il suo tempo, e solo allora appare, quando il tempo è venuto», scriveva Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia dello spirito, e questa affermazione vale anche per la sorte toccata a Meister Eckhart, rimasto semisconosciuto per secoli, fin quasi ai nostri giorni. Ancora mezzo secolo fa, infatti, in Italia le sue opere erano rifiutate non solo dagli editori laici, ai quali la parola «mistica» faceva orrore, ma anche da quelli cattolici – o sedicenti tali – che non vedevano di buon occhio un autore che aveva subito una censura papale. Ai giorni nostri, al contrario, essendo da un lato ormai chiara la grandezza della sua opera, e, dall’altro, in crisi teologie e filosofie, tutti fanno a gara per accedere all’eredità eckhartiana, tirandolo in qualche modo dalla propria parte. Vediamo così un Eckhart buddhista zen, per la sua insistenza sul vuoto, un altro non-dualista hindu, per la sua tematica dell’Uno, un altro ancora post-teista, prendendo la parte seconda della sua celebre frase, «Prego Dio che mi liberi da Dio» e tralasciando la prima. Opportuna, dunque, l’iniziativa dell’Istituto Filosofico Studi Tomistici di Modena di proporre un confronto tra lui e il suo illustre confratello, precedente solo di mezzo secolo, Tommaso d’Aquino, ponendo anche una domanda cruciale: come questo è stato il punto di riferimento della teologia cattolica nei secoli passati, si può pensare ad Eckhart quale alternativa per il tempo nostro?

Ora, i confronti sono sempre difficili, in quanto si rischia di perdere la specificità dei singoli autori, ma è possibile esporre analiticamente le caratteristiche essenziali delle opere, lasciando a una valutazione più meditata la sintesi.

Per quanto riguarda Eckhart, i punti salienti del suo pensiero, e, insieme, gli elementi di novità rispetto alla teologia tradizionale, sono in effetti quelli espressi nelle proposizioni censurate dalla Bolla papale In agro dominico, del 1329, e che qui proviamo a riassumere. In primo luogo eternità del mondo e dell’anima umana, il cui «fondo» è increato e increabile, per cui si può dire che Dio e l’anima sono una cosa sola. Conseguenza evidente è che la dissoluzione del corpo e la fine dell’aggregato psichico non significano affatto la fine di tutto, giacché l’elemento eterno dell’anima, che non è mai nato, non può mai morire: è, appunto, eterno. Non v’è perciò alcuna storia della salvezza; ogni uomo buono è come il Cristo nella sua natura umana, né si deve pensare al suo sacrificio salvifico: opinare che Dio chieda sacrifici per placare il suo sdegno è indegno del pensiero di Dio. Perciò noi onoriamo Cristo come messaggero di beatitudine, ma la beatitudine che egli annuncia è già la nostra, e comunque il rapporto tra l’anima e Dio è senza mediazione alcuna: nulla interposita natura, come dice Agostino nel La vera religione, che – sottolineiamolo – è il testo di gran lunga più amato e citato da Eckhart. Questa preferenza non meraviglia: è il libro in cui si enuncia il precetto di non cercare all’esterno, ma rientrare in noi stessi, giacché in interiore homine habitat veritas, la verità risiede nell’uomo interiore. Sulla coppia antinomica uomo interiore-uomo esteriore – di origine paolina, ma in effetti risalente molto indietro, fino a Platone – si gioca in realtà tutto il pensiero eckhartiano e la sua predicazione, che, non a caso, ha un elemento assolutamente centrale: il distacco. Operazione fondamentale dell’anima, l’unica richiesta all’uomo, esso è appunto l’allontanarsi da ogni elemento accidentale, temporale, corporeo, per avvicinarsi a quello essenziale, eterno, spirituale, e si riassume in due parole: «Distàccati da te stesso». Infatti «l’uomo interiore fugge sempre se stesso», in conformità al precetto enunciato da Gesù per chi vuole seguirlo: Rinuncia a te stesso (cfr. Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23). L’uomo completamente distaccato nulla vuole, nulla ha, nulla è, ma soprattutto nulla sa: v’è così il rigetto completo anche di ogni possibile teologia, che Eckhart non si perita di chiamare «bestiale», e non v’è alcuna esclusività rivelatoria della Scrittura, cui presta sì tutta la sua fede medievale, ma della quale, in ultima analisi, ritiene si potrebbe fare a meno, dal momento che, se anche non avessimo la Scrittura, abbiamo comunque la creatura, e «ogni creatura è piena di Dio ed è un libro». Coerentemente, ritiene che gli antichi filosofi, i «maestri pagani», «conobbero la verità prima che sorgesse la fede cristiana». Del resto, la fede in quanto credenza non ha che un valore molto parziale, perché «chi crede non è ancora Figlio», ovvero in lui non è (ancora) nato il Figlio, il Verbo, che ci fa figli nel Figlio, e che nasce nel fondo dell’anima nostra, quando è completamente distaccata.

Sotto il profilo strettamente filosofico-teologico, poi, difficile avvicinare Eckhart a Tommaso, dal momento che il primo sostiene che Dio è prima di tutto pensiero, e solo in quanto pensa, è, e non viceversa. Qui va a picco la metafisica cosiddetta dell’Esodo, col concetto di Dio come essere («Io sono Colui che è»: Es 3,14), sostituito da quello aristotelico di Dio puro pensiero. «Chiamare Dio ente o essere è come chiamare bianco il nero», scrive perciò talvolta Eckhart, e, quel che è ancor più rilevante, spiega che si pensa Dio come ente solo per il nostro peccato, il peccato di Adamo, che altro non è se non amor sui, l’amore di se stessi.

Non meraviglia perciò che Heinrich Denifle, il grande erudito domenicano dell’800 (+1904), cui si deve anche la scoperta di alcuni testi latini di Eckhart, ritenesse il suo antico confratello uno scolastico un po’ confusionario, che mescolava con poco criterio le fonti tradizionali e quelle neoplatoniche, come il Liber de causis, riscoperte attraverso la mediazione araba. Ciò a differenza del rigoroso Tommaso, cui deve perciò essere riconosciuto quel primato teologico-filosofico di cui a buon diritto ha goduto per secoli. Rimandando ad altri questo tipo di valutazione, vogliamo però sottolineare quello che resta comunque a parer nostro il fatto essenziale: anche Eckhart fu un domenicano fedele al suo Ordine, un magister cattolico che, in fine vitae suae, confermò l’obbedienza alla Chiesa.

13:43

Mistiche

Alphaville 13.03.2025, 11:45

  • iStock
  • Lina Simoneschi Finocchiaro

Correlati

Ti potrebbe interessare