Cinema

Chantal Ackerman

È suo il miglior film di tutti i tempi

  • 6 giugno 2023, 00:00
  • 31 agosto 2023, 11:58
Chantal-Akerman

C’è un film che corre sulla bocca dei cinefili dacché la prestigiosa rivista Sight and Sound l’ha decretato come il migliore film di sempre. Il titolo del film è «Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles», la regista è Chantal Akerman.

Al di là della polemica che la notizia sta sollevando (molti critici sostengono si tratti di una scelta ideologica e riparatoria da parte del mondo del cinema nei confronti delle donne registe e attrici), la scelta è interessante perché ci consente di parlare di un film e una regista che pochi conoscono.

Chantal Ackerman, figlia di ebrei polacchi emigrati in Belgio, nasce a Bruxelles il 6 giugno 1950. Amante del cinema sperimentale e grande fan di Godard, ha dapprima realizzato alcuni cortometraggi, per poi dedicarsi al suo capolavoro «Jeanne Dielman, 23, quai du commerce, 1080 Bruxelles».

Il film descrive la vita ripetitiva di una casalinga dedita occasionalmente alla prostituzione per mantenere se stessa ed il figlio adolescente. La regista ha definito la sua pellicola come un «film sullo spazio e il tempo e il modo con il quale la protagonista organizza la sua vita in maniera di non avere tempo libero, per non essere sopraffatta dall'angoscia e dall'ossessione della morte.» Film claustrofobico, lungo 3 ore e 21 minuti, la pellicola mette in scena in modo ossessivo l’horror vacui.

Il quotidiano francese Le Monde ed il quotidiano statunitense The New York Times nel 1976 lo classificarono come "il più grande capolavoro femminile della storia del cinema".

Dopo il riconoscimento, Chantal Akerman andrà a New York nel 1976 per la realizzazione di News from home, poi ancora nel 1988 per Histoires d'Amérique e nel 1996 per la commedia romantica Un divano a New York, con William Hurt e Juliette Binoche.

Nel 2006 Chantal Akerman firmerà un documentario su Israele intitolato Là-bas. Girato a Tel Aviv e montato a Parigi, il film è una serie di inquadrature fisse della Akerman nel suo appartamento e di ciò che si vede dalle finestre, narrato dalla voce fuori campo della regista stessa che commenta l'esperienza lasciandosi andare a digressioni sull'isolamento, la solitudine, il tempo e l'ebraismo.

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