Società

La camicia nera

I segni del Novecento

  • 1 June 2023, 22:00
  • 30 November 2023, 09:06
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Di: Romano Giuffrida

O rondinella, camicina nera, che coi soldati stai spiegando l’ale e, come loro, canti questa sera nel tuo partir per l’Africa Orientale…”: certo che un po’ di naso lungo come il burattino di legno contafrottole l’aveva pure Paolo Lorenzini, fratello del più famoso Carlo, ossia “Collodi”, che di Pinocchio aveva scritto la storia, se, con un canto del 1935, cercò di ingentilire l’immagine della camicia nera fascista associandola romanticamente alla rondinella che canta volando all’Africa lontana.

A dirla tutta, ci voleva una bella faccia tosta a tentare di rendere idilliaco un simbolo che dal 1922 rappresentava ufficialmente la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale voluta da Benito Mussolini, che aveva come “passatempo” preferito eliminare gli oppositori a pistolettate o a bastonate, bruciare le Case del popolo e le redazioni dei giornali “sgraditi” al Duce.

Il primo exploit mediatico degli squadristi, con tanto di esibizione della fascistissima e virile “camicia nera” che li contraddistingueva, è ovviamente quella “Marcia su Roma” del 28 ottobre del 1922 che di lì a due giorni avrebbe decretato l’ascesa di Mussolini al governo.

La scelta del colore nero per le camicie degli squadristi non è casuale e, infatti, non sarà per invidia dell’alleato o per mancanza di immaginazione che anche la Gestapo hitleriana lo adotterà per le proprie divise.

Chi non ha ascoltato: “Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do? Lo darò alla Befana che lo tiene una settimana. Lo darò all'Uomo Nero che lo tiene un anno intero”? L’uomo nero, incarnazione del Babau o dell’Orco che può nascondersi nel buio delle notti dei bimbi disobbedienti, nasce infatti dentro un’interpretazione del colore nero che probabilmente nutre da sempre l’immaginario dell’umanità. Colore opposto al bianco, contro-colore di ogni colore, l’uomo nelle sue paure primordiali ha interpretato il nero come l’elemento cromatico delle tenebre e non per nulla, nei secoli, molte culture hanno affidato a esso il compito di simboleggiare soprattutto la Morte (e di conseguenza il lutto).

Difatti, la camicia nera “Aveva il colore della morte che infutura la vita () era il simbolo della nostra disperazione e della nostra ferocia”, parola di Luigi Freddi, fascista della prima ora, squadrista, giornalista e inventore di Cinecittà, nel suo libro del 1929 Bandiere nere. Contributo alla storia del fascismo (Ed. Italia storica, 2019). Il nero, quindi, doveva incutere paura, un concetto che, poveretti loro, apprendevano anche i bambini del Ventennio, i Balilla, costretti a mascherarsi da piccoli squadristi indossando la camicia nera e marciando con un piccolo moschetto sulle spalle.

Le donne non ci vogliono più bene perché portiamo la camicia nera. Hanno detto che siamo da catene, hanno detto che siamo da galera. (…) Ce ne freghiamo. La Signora Morte fa la civetta in mezzo alla battaglia, si fa baciare solo dai soldati. Sotto, ragazzi, facciamole la corte! Diamole un bacio sotto la mitraglia! Lasciamo l'altre donne agl'imboscati”. Il mito della camicia nera proseguirà fino alla fine: altrimenti perché nel 1944 comporre ancora un canto con queste parole per le milizie della Repubblica Sociale italiana, quando ormai il destino del grande imbroglio mussoliniano ha i giorni contati?

Un motivo c’è. Nella retorica del tempo, per i fascisti la camicia nera era simbolo dell’onore che Mussolini dava loro di servire la Patria e, se necessario, di morire per essa.

D’altra parte, nell’immaginario, da sempre, chi indossava il colore nero si sentiva investito di forza e poteri straordinari. Lo sapevano gli antichi samurai che brunivano le loro armature per spaventare gli avversari con il colore che simboleggiava l’ira e la mascolinità. Secoli dopo, saranno nere le corazze e gli stendardi delle Bande Nere, le compagnie armate di Giovanni de Medici conosciuto appunto come Giovanni delle Bande nere, terrore dei Lanzichenecchi.

Nero è anche il Cavaliere delle leggende bretoni e Cavaliere nero sarà pure lo pseudonimo di Lancillotto al servizio di Re Artù. E, con quale colore sarà immaginato il diavolo dai pittori medievali? Vabbè, a questo punto è facile indovinare: ovviamente il nero.

Credenze e superstizioni del passato? Sì e no. Veniamo al presente o meglio al “passato prossimo”. Chi ha visto la saga fantascientifica di Star Wars creata da George Lucas nel 1977, non può non ricordare Dart Fenner, colui che nella classifica stilata dall’American Film Institute ha guadagnato il terzo posto tra “i più cattivi della storia del cinema”. Impossibile ovviamente riassumere in poche righe la trama di un’opera cinematografica composta, tra trilogie originali e sequel vari, da nove film: a noi basta ricordare che tutta la storia ruota attorno all’eterna lotta tra il bene e il male e che l’armatura del Signore delle Forze del Male, appunto Dart Fenner, era… color della pece…ça va sens dire.

Il nero è quindi un segno senza tempo.

“Quando troverò un colore più scuro del nero, lo indosserò. Ma fino a quel momento, io mi vestirò di nero!”

Vogliamo terminare queste brevi note con un po’ di “malignità”: a cosa si riferiva Gabrielle Bonheur Chanel nota con il nomignolo Coco, quando pronunciò la frase che abbiamo appena riportata? Alla sua predilizione per il nero come colore per l’abbigliamento o era un lapsus che ribadiva la sua passione per la nera divisa che indossava il barone Hans von Dincklage, suo amante e alto ufficiale della Gestapo? Verrebbe da dire che è più credibile la seconda risposta, visto che le simpatie filonaziste spinsero Coco Chanel persino a diventare l’agente F-7124 nel servizio di intelligence militare del Fürher e che un suo modello di abito da sposa (in questo caso, noblesse oblige, inderogabilmente bianco), vestì Edda, primogenita di Benito Mussolini, per il suo matrimonio con Galeazzo Ciano. Cromatiche affinità elettive…

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